Rebecca e lo Gnomo

Rebecca si era sempre affidata al suo destino, fin da piccola aveva imparato a considerarlo con una sorta di timore reverenziale. A volte lo identificava con un vecchio ometto: piccolo, gobbo, zoppicante che faceva uso di un vecchio bastone consumato. Le appariva spesso e sempre quando meno se l’aspettava. Lo sentiva strisciare sinuosamente sui muri, agli angoli delle vie. A volte cadeva pesantemente dalle pareti o lo vedeva dondolarsi abilmente dal grande lampadario. Talvolta compariva all’improvviso non appena apriva le finestre per cambiare aria. Volava lieve accompagnato da una sottile brezza. E se lo ritrovava lì, sdraiato comodamente in poltrona, che contemplava sornione un vecchio candelabro. Una volta lo aveva visto tra gli alari del camino: aveva sentito un piccolo disturbo provenire dalla stanza, ma stentava ad individuarne l’origine. Poi aveva notato della cenere fra le piastrelle color mattone vicino all’imboccatura del caminetto, si era avvicinata e aveva incontrato uno sguardo angelico. Rebecca si era indispettita e lui non aveva trovato di meglio che soffiarle sul viso un mucchietto di cenere rimasta nel caminetto, sfuggita all’ultima pulizia. Lei era molto arrabbiata e lui anzichè mostrarsi dispiaciuto aveva perseverato nel suo intento distruttivo spargendo i rimasugli di cenere ovunque. Un’altra volta lo aveva visto aggrappato alla lancetta dei minuti del grande orologio da cucina. Rideva sguaiatamente e il suo peso seppur lieve andava ad accelerare il percorso delle lancette. Rebecca era impegnata nella preparazione di una torta piuttosto complicata e lui proprio in quel momento era venuto a distrarla. Lei aveva tentato, mediante un pizzicotto mirato, di farlo fuggire. Ma lui aveva prevenuto abilmente la sua mossa ed era volato davanti a lei, fino quasi a sfiorarla, poi sospeso a mezz’aria sopra la spianatoia, con un potente soffio, aveva fatto volare ovunque la farina adagiata sulla tavola di legno. Una patina bianca era andata a coprire tutti gli oggetti della cucina. Rebecca aveva stretto i denti e aveva masticato amaro. Cominciava a credere che non avrebbe mai potuto competere con lui. Per potergli tenere testa avrebbe dovuto cambiare atteggiamento. E così tentò di fare. Pazienza permettendo, perché allora ne aveva proprio poca. O forse lo credeva solamente. Ormai aveva capito che avrebbe dovuto imparare a convivere con questo gnomo dispettoso, avrebbe dovuto diventare sua amica. Già perché il timore reverenziale che nutriva da piccola, ora, l’aveva abbandonata. Aveva capito però che non avrebbe potuto in alcun modo contrastarlo. Ultimamente stava diventando proprio dispettoso o forse lei non lo sopportava più. Da piccola l’aveva sempre visto. Compariva per brevi attimi. Poi scompariva. Negli ultimi tempi la sua presenza era sempre più assidua. Ma la cosa più fastidiosa è che lo considerava sempre più come un antagonista. Aveva scoperto però che non avrebbe potuto ignorarlo. Aveva tentato questa tattica e lui si era dimostrato sempre più indisponente causando piccoli incidenti. Aveva capito che per renderlo innocuo, nel limite del possibile, avrebbe dovuto metterlo sempre in prima posizione. Era come un bambino viziato, voleva sempre ottenere quello che voleva. Quel giorno Rebecca si era ripromessa di essere molto paziente e con una buona dose di sicurezza si era seduta e stava leggendo tranquillamente un libro, i gomiti appoggiati al ripiano della scrivania e le mani che sostenevano la testa. Percepì un soffio intenso e rapidamente sentì scivolare il nastro che raccoglieva i suoi capelli, prima che avesse il tempo di trattenerlo. La folta frangia le coprì la visuale.