In attesa

Si ritrovava seduta in una panchina di buon mattino. In attesa. Il sole ad est lentamente si alzava nel cielo e andava a penetrare coi suoi raggi lucenti sottili spiragli di una grigia coltre di nuvole che contrastava nettamente con la sua visuale ad ovest dove un cielo azzurro dipinto da alti cirri sembrava volersi beffare di quei nuvoloni minacciosi. Una fresca brezza autunnale scivolava insistentemente fra i suoi corti capelli. Le colline che facevano corona alle sue spalle sonnecchiavano ancora sotto la grigia coltre. Solo a tratti le cime si stagliavano nel cielo limpido e gli alberi che ne costituivano il perimetro ricordavano una testa scompigliata al risveglio del mattino: ordinatamente spettinata. Aveva osservato un lento sofferto risveglio di un comune mattino. Era confusa, in attesa di riprendere il filo. Pensava al tempo, quel lento incedere di fatti e avvenimenti. Quella lentezza esasperante che solo a volte, all’improvviso, riusciva ad aumentare il ritmo in maniera ossessiva. Il giorno e la notte, l’alternarsi di luna e sole avrebbero dovuto aiutarla a ritrovare un equilibrio. Il filo: quel filo conduttore che dava uno scopo alla sua vita, quel filo indispensabile che intrecciava la trama del suo tempo. La sua vita ora le appariva un enorme quadro composto da tessere che improvvisamente avessero perso il collante. Giacevano ai piedi della parete dove era posto il quadro in una grande confusione. Era necessario ricomporre il mosaico altrimenti quel quadro appeso alla parete non aveva più ragione di essere. Il tempo le sfuggiva di mano. Un attimo, un anno, l’eternità. Che cosa cambiava? Faceva forse tutto parte dello stesso mosaico? E se tutto componeva lo stesso mosaico, perché lei non riusciva a ricomporre il suo? Era come se un ciclone avesse scombinato le sue abitudini. Si sentiva fuori tempo e fuori luogo. Pensò che il tempo e lo spazio non l’avrebbero aiutata a ricomporre il suo mosaico. Si sentiva fuori dal mondo. Ma capì all’improvviso che forse non era poi così importante ricomporre il mosaico, poteva contemplarlo, anche così, anche se apparentemente non aveva nessun nesso logico lei sapeva riconoscerne tutte le più piccole tessere. Avrebbe potuto bastarle, tutto sommato avrebbe imparato a vivere anche in questa dimensione d’attesa. Si rese conto che allontanandosi dalle cose materiali riusciva a vederle con più chiarezza. Finalmente era serena perché questa dimensione d’attesa le dava un riscontro. Si era resa conto che la trama di quel tessuto strappato era tenuta insieme da un unico filo che aveva un incredibile resistenza. Era un filo magico che poteva cambiare repentinamente la sua consistenza. Talvolta appariva come un cordone, a volte così sottile da risultare quasi trasparente, come il filo di una canna da pesca. Ma aveva il dono di essere indistruttibile. Tirò un sospiro di sollievo. Contrariamente ad ogni logica, in questa dimensione, aveva trovato una grande serenità. La vita era anche questo: restare in attesa.

Istruzioni per una battaglia d’autore

Decise un giorno, lui, l’autore, di scrivere un libro…

Procedeva lentamente sapendo di dover riempire una pagina dopo l’altra, sapeva però in cuor suo che ogni pagina doveva contenere degli elementi utili. Non poteva permettersi il lusso di sprecare neppure un solo foglio perché sapeva che i fogli a disposizione per il suo romanzo erano contati. Avrebbe potuto procedere a delle correzioni, avrebbe potuto cancellare degli errori o tirare penosamente una riga sopra i periodi sballati, ma non poteva buttare neppure uno di quei fogli perché avrebbe rischiato di non portare a termine il suo libro. Egli era consapevole di ciò e si comportava come se conoscesse bene la preziosità di quei fogli.

Quei semplici fogli di carta avevano un fascino particolare, sarebbero divenuti involontari testimoni di gioie e dolori, successi e sconfitte, avrebbero assunto un valore inestimabile, sarebbero stati indispensabili, l’uno per l’altro, indissolubilmente legati; anche se un colpo di vento avesse fatto volare quei fogli confondendo l’ordine naturale progressivo dei numeri delle pagine, in seguito, lui, l’autore, non avrebbe faticato a ricomporre la pila dei fogli.

Anche se non avesse posto in calce a matita il numero della pagina, avrebbe comunque trovato il senso che legava quei fogli e avrebbe ricomposto senza fatica quel mosaico sparso…

 

Le lettere armate erano pronte per la dichiarazione di guerra: scorrevano in fila con ordine seguendo diligentemente le linee del campo che, come una serie ordinata di trincee, mettevano in evidenza piccoli soldati.

A prima vista avevano tutta l’aria di essere innocui, se ne stavano lì, educatamente sull’attenti ognuno manteneva il suo spazio vitale senza invadere quello altrui.

Uno sguardo superficiale e disattento poteva confondere la pericolosità di quello schieramento, eppure lui, l’autore, aveva conferito loro un tale potere che aveva la caratteristica dell’invincibilità.

Apparivano invulnerabili queste piccole lettere schierate.

Il grande potere che veniva esercitato era costituito semplicemente dalla loro unione, e questa unione non era casuale.

Era stato lui, l’autore, a creare una specie di filo conduttore che univa le lettere e l’aveva fatto con una tale maestria che il tutto non appariva come un’accozzaglia insulsa di lettere e segni di punteggiatura, no, il tutto palesava una grande armonia.

L’unione di queste lettere esprimeva un concetto chiaro, difficilmente avrebbe potuto essere contraddetto.

Eppure sotto l’apparenza di questa semplicità traspariva una grande lotta e la tattica strategica adottata per la giusta disposizione delle lettere era stata frutto di un lavoro molto impegnativo.

La disposizione nelle piccole trincee raramente subiva dei cambiamenti, per la maggior parte delle volte risultava definitiva e irreversibile.

Le piccole lettere stavano lì pronte a dar battaglia.

Erano fiere e consapevoli del loro compito, ne andava del loro onore, ognuna di loro avrebbe combattuto fino alla fine. Ognuno di loro sapeva bene in cuor suo che la sua identità avrebbe potuto essere stravolta. Sia l’aspetto esteriore, che in teoria non avrebbe potuto e dovuto essere contraddetto, sia la sostanza che era stata conferita dall’autore medesimo, avrebbero potuto in realtà essere completamente fraintese…

Ma la vera sostanza delle lettere nel tempo rimaneva inalterata a patto naturalmente che nessuno avesse manomesso la disposizione originale delle trincee.

La foglia di leccio

Quella piccola foglia di leccio emersa all’improvviso dalle pagine di un libro fece affiorare ricordi giunti da lontano o più semplicemente presenti, ma al di là del tempo…

Era solita percorrere il viale dei lecci, così lei lo chiamava, lo amava in ogni stagione, in ogni attimo poteva coglierne i pregi. I lecci per lei avevano il sapore dell’eternità. La forte tenacia di quei tronchi scuri e rugosi, l’esplosione della fioritura primaverile e la forma armoniosa delle bacche erano per lei fonte costante di ammirazione. Provava una tale sincera affezione verso quegli alberi come per le aspidistre.

Quelle piante sempreverdi dalle lunghe foglie lanceolate che emergevano dal terreno andavano a comporre un fitto manto nei giardini ombrosi, così fitto da essere da taluni considerato lugubre, ma non per lei perchè in quelle lunghe foglie verdi percepiva una forza vibrante della natura, quasi una presenza discreta e costante, una sorta di immortalità.

Immersa in quella natura, all’ombra di quegli alberi considerati dai più quasi di categoria inferiore, lei si sentiva risvegliata come se i sensi si espandessero. All’ombra dei lecci si sentiva elevare in una dimensione d’attesa, così lei la definiva, i suoi sensi erano potenziati, percepiva l’aspetto più sublime di tutto ciò che la circondava, era però una sensazione solo passeggera. Sapeva comunque che quella precarietà le permetteva di carpire attimi eterni, attimi infiniti perché appartenenti alla vera realtà, la realtà infinita. Era certa di quella realtà perché tratteneva in sé gli effetti prodotti. Era consapevole di entrare in contatto con la bellezza, cioè la vera essenza delle cose che vedeva. I lecci e le aspidistre erano per lei un tramite privilegiato per entrare in contatto con dimensioni più sottili. Tutto riemergeva alla sua mente e pareva diffondersi in contorni da sogno, una tensione destava il suo essere, si sentiva in simbiosi con l’ambiente circostante, diventava parte della natura, ne percepiva il respiro…

Si sentiva parte del ritmo vitale degli scoiattoli, nelle loro scorribande festose, percepiva la vibrazione dei rami scossi dal loro passaggio, si sentiva parte di quel raggio di sole che illuminava le chiome al tramonto e di quelle cime assolate che carpivano gli ultimi raggi di sole e percepiva con loro l’allontanamento di quel caldo tepore e il sopraggiungere dell’umida frescura che emerge dal tappeto di foglie e dagli umori della terra.

Percepiva l’umidore del suolo e diventava parte di quell’essenza di terra e muschio che, al calar del sole, s’espandeva nell’aria. Arginava l’eco dei suoni notturni, si disperdeva nell’armonia vocale degli insetti, poi, giunta nel silenzio a contare le stelle del cielo si rifletteva , diafana, nel riflesso lunare. Si ritrovava all’improvviso fra le onde del mare a dondolarsi nell’onda silenziosa e giungeva infine ad assaporare la pace della notte. Ora poteva riposare nel pensiero degli amanti che confondono i loro passi al chiar di luna.

Pensieri sulla parola, l’anima e Dio

Nell’incanto del silenzio egli si pone in ascolto…

Percepisce dentro di sé un vasto spazio, un vuoto sublime che attende di essere colmato, privilegio e fondamento dell’accoglimento della parola…

– Dio e l’anima

Dio è più grande dell’universo ed in esso non può essere contenuto, ma vi è uno spazio in grado di contenere Dio. Questo spazio è racchiuso nel cuore dell’uomo. Uno spazio misterioso che accoglie un potenziale illimitato. L’anima unita a Dio, uniformata alla sua volontà diventa essa stessa creatrice con Dio. Essa è consapevole dell’unione e ne vive il privilegio in ogni sua azione compiuta. Riscontrando la caducità della materia, ogni azione compiuta deve riflettersi in uno scopo in grado di andare oltre. L’anima giunge a sentirsi infinitamente grande se unita con la sua volontà alla volontà del Creatore, piccola ed inutile nel momento in cui ne sente la lontananza. In una tensione purificatrice, il mistico percorre il suo sentiero, volgendo lo sguardo fra lande desertiche e rare oasi insolitamente rigogliose, in cui nella percezione di un alito di vento messaggero di sublimi melodie assaporando la fragranza di un bocciolo che si schiude alla visione del mattino, trae con forza la sua linfa vitale.

– In cammino

L’esistenza terrena è l’emanazione di una catena spirituale. Dio ci è Padre e ci ama come figli, consapevoli del senso della nostra vita sappiamo che abbiamo ragione di esistere solo in funzione dell’Amore che sappiamo dare. Il primo anello della catena è stato chiuso, sigillato: sappiamo di essere figli di Dio! Il legame indissolubile è stato creato. Riceviamo la vita eterna in funzione della nostra consapevolezza e a nostra volta dobbiamo trasmettere il messaggio. Il dono ricevuto non può essere trattenuto in ragione della stessa libertà con cui siamo stati amati da Dio: nel più completo altruismo. Noi, vocaboli del libro del Padre, emanazione sottile di una catena dorata dall’aroma indissolubile. Tenendoci per mano, lo sguardo volto alla divinità, il sapore dell’abisso emergente dalle valli fiorite del cuore, noi con Lui a riscrivere le pagine assetate di dolore. Noi con Lui: un altro anello è stato chiuso, sigillato. Incatenati alla vita, terrena e spirituale, ci muoviamo nello spazio di infiniti percorsi, con Lui e in Lui, la nostra azione e il nostro riposo.

– Divisa di un mistico

Il mistico sente la necessità di esprimere la presenza di Dio nella realtà sensibile. La tensione naturale che egli incarna è determinata dal desiderio di rendere chiaramente percepibile questa presenza attraverso immagini reali, sospese in una realtà che si spoglia di connotati tipicamente materiali per sfociare in una dimensione sublime: resa cioè sublime dalla presenza stessa di Dio. Percepisce chiaramente un senso di inadeguatezza trovandosi in contrasto con gli ideali perseguiti dalla società di cui egli stesso fa parte, stenta ad identificarsi nel ruolo che gli compete perché le intuizioni più profonde non sono socialmente accettabili e si trova a scontrarsi con argomenti (materiali) apparentemente inattaccabili perché si fondano su fatti concreti. Non trovando corrispondenza di pensiero egli si sforza maggiormente di rendere comprensibile ed accettabile l’idea contemplata. E ancora si trova prigioniero entro un confine sottile quanto impenetrabile. Egli è in grado di percepire chiaramente la volontà della potenza creatrice di Dio contemplando l’armonia di un tramonto oppure assaporando il profumo di un fiore appena sbocciato. In tutto ciò che lo circonda risiede l’armonia dell’ineffabile. Oltre ogni cosa creata l’impulso di una volontà generata da un pensiero. Nell’ascolto del silenzio contemplativo egli giunge a sentirsi misteriosamente unito e parte integrante di quell’armonia che continua a perseguire e ad alimentare nello sforzo che non conosce pausa di sorta. Egli non trova in sé la perfezione, né in qualsiasi risvolto del corruttibile velo di materia che lo circonda, ma si sforza di penetrare in sé e oltre sé quello spazio sublime che contiene l’idea stessa della perfezione contemplata in un pensiero originario da cui hanno seguito tutti i successivi. Nell’angusto percorso della purificazione l’anima si accorge di possedere Dio come suprema bellezza e solo allontanandosi dal perimetro imprigionato dei sensi, essa potrà rivivere la condizione dell’estasi perduta nei meandri del peso della materia. Tende così a perdere di mira tutti quei particolari propriamente legati all’individuo per proiettarli in una dimensione in cui lo spazio non ha più valore di riferimento e in cui le definizioni assumono un carattere di universalità. L’anima si sente una piccola goccia penetrata nell’oceano sconfinato e scopre che tutte le nuove sensazioni hanno valore di immensurabilità. La piccola goccia si sente consapevolmente e indissolubilmente legata al grande oceano e con lui parte integrante. E come l’illusionista che nasconde nello sviluppo dell’esercizio la propria abilità o l’acrobata che con sempre maggiori azzardate evoluzioni manifesta un atteggiamento sempre volto al superamento delle normali, comuni attitudini, l’anima si trova proiettata in uno spazio che non può definire in quanto è essa stessa a occuparlo completamente e prigioniera di un tempo che non ha termine perché ha perduto la sua caratteristica fondamentale ed è sfociato nell’eternità. Così l’anima immersa in un pensiero più grande di lei s’è accorta di avere in sé l’incontenibile e legata alla memoria di un corpo materiale circoscritto in uno spazio e in un tempo ben definiti sente di non poter vivere adeguatamente nella clausura del suo simulacro terreno. La materia trasfigurata in significazione spirituale, in quanto interiormente intuita a contatto con Dio, darà per l’eternità il miracolo di un’immagine che rispecchia un infinito in tutta la sua pienezza. Solo l’occhio contemplante nella mente di Dio può vedere per l’eternità l’idea creatrice: tale privilegio è concesso misteriosamente agli uomini, ma è richiesto uno sforzo morale nell’esprimere l’inesprimibile delle cose, sforzo notevolissimo proveniente da un’anima racchiusa in un corpo non ancora sciolto da catene materiali.

– Impronte

Quando nell’anima lo spirito diviene vibrazione luminosa anche l’opera creata vibra della stessa emozione. È chiaramente percepibile un’energia vibrante al cospetto di una parola che reca l’ombra del divino. Un immagine universale che si serve di immagini semplici ed universali, come il dorato fiore del trifoglio che richiama alla mente la vibrante energia solare, o la sua pianta madre di un colore verde intenso che ricorda la frescura del mattino risvegliato dalla rugiada brillante di sfumature e di trasparenze. Immagini legate ad un rivo d’acqua fresca che scorre sonoro tra i sassi del torrente e vivifica ed armonizza questo eterno rifluire di un’idea originaria che si perpetua nel tempo. E nella perfezione di una corolla dalle magiche sfumature di colore l’occhio contemplativo si perde nell’abbraccio di una visione universale, onnicomprensiva, in cui le corolle di tutti i fiori manifestano la volontà rigenerante del loro creatore.

– Il dono

Il dono è comunicato agli uomini per grazia divina. Emerge discreto e silenzioso da opache tenebre avvolgenti, talvolta compare prepotente alla luce di una giornata particolare in cui può assumere il sussurro del vento nel fruscio delle foglie dimenticate dell’estate. Può disperdersi dall’umidore della notte che inonda il muschio vellutato fra le radure erbose, o solcare le onde infinite del mare in un suono ovattato di oblio che rivive vagabondo in una pace ultraterrena. Ovunque, oltre e dentro di lui, il presupposto di uno sguardo contemplativo. Nelle ardite sfumature di una foglia di maranta, nel biancore penetrante dei petali di lunaria, nel morbido inchino del deodora, nella danza oscillante dei calici della datura. Ovunque, oltre e dentro di lui, il dono contemplativo si disperde nel volto serafico della pace ritrovata.

– Nella culla del silenzio

Ogni atto vero è compiuto nel silenzio, l’universo di vita rigenerante, che abbraccia nello stupore contemplativo i pensieri confusi, si disperde nell’intreccio del tempo, si radica nell’estensione dello spazio infinito. E nella semplicità dell’ascolto del silenzio la vita riemerge al sorgere di ogni sole, si anima sulle ali di ogni soffio di vento, respira nella percezione di ogni sorriso, travalica i confini di ogni spazio raggiungibile. Lo stupore, atto adorante di ogni anima, si effonde nello spazio della vita creata, lontano da barriere di rumore. Il silenzio ha posto le radici nel fulgore dell’anima risvegliata.

Solo ascoltando gli infiniti messaggi del silenzio possiamo trovare la forza per scorgere le risposte emergenti dalla nostra anima.

– Privilegio dell’anima

Quando l’anima è tale da scorgere oltre la presenza di una semplice foglia caduta da un ramo, strappata dal vento, l’immenso mosaico dell’Amore di Dio viene naturale chinare il capo in ringraziamento del dono ricevuto, come ispirazione divina. Se i sensi sono desti e abbiamo la capacità di percepire quella Presenza che ci porta oltre l’apparente materialità delle cose comprendiamo la grandezza del dono dell’Amore e la qualità del paradiso che abbiamo il privilegio di vivere su questa terra. Splendidi fiori sorgeranno allora nel giardino luminoso di Dio. La grandezza del creato filtra nel nostro cuore e riflette le parole elevandole a musica, a sogno, a sublimi visioni, impalpabili, ma reali e veritiere. Una piccola foglia può rivelare le cose grandi del cosmo nella semplicità e nella spontaneità dell’intuizione di un poeta. Solo la presenza di Dio può giustificare immagini che suscitano in noi un ammirato stupore, così, nella visione di un tramonto può nascere dentro di noi quel desiderio sublime che ci fa rincorrere con lo sguardo i primi lumi che lasciano il passo alla giornata trascorsa: tutto sembra magico e sfuma verso il riposo della sera. Nella pace della notte il silenzio diviene familiare, le proporzioni sfumano e riusciamo a scorgere con chiarezza lo spazio infinito dentro di noi. Sentiamo allora di possedere quella bellezza sfumata col tramonto, trasfigurata e presente dentro di noi. I pensieri trovano quiete e il colloquio con Dio è più facile, colloquio che diventa presenza emergente dalle tenebre del torpore e ferma volontà del nostro agire. Dalla semplice osservazione di una foglia caduta, nello sfondo di un tramonto imminente, l’impressione di essere al cospetto di un libro che non ha termine, dove la storia della creazione continua a riscriversi ad ogni pagina.

– Nella pace del silenzio

Le parole che emergono discrete dalla voce del silenzio hanno il sapore di magiche chimere. Le parole umane, fondamentali, nella lettura emergono prepotenti nel loro pieno significato trasfigurando l’immagine reale della descrizione in una bellezza sovrumana, assumendo così l’espressione di un sogno. Nella culla del silenzio l’uomo travalica il suo spazio prendendo contatto con l’infinito. E in una sfera dove non sono previste limitazioni, i limiti trascesi aprono la porta alle sue inattese potenzialità. Nella dimensione del silenzio si pongono le basi all’ascolto dei suoni, al linguaggio antico di immagini sempre reali e presenti nella mente. Così nella scoperta della dimensione sconfinata del silenzio l’uomo può trovare risposte che, se pur non pienamente soddisfacenti per la sua quotidianità, sono però certamente in grado di dare senso alla sua esistenza terrena. Confini silenziosi, talvolta impenetrabili, proteggono la porta d’accesso allo spazio silenzioso del sentire, percepibili nell’isolamento dal mondo, concretizzato in una consapevole voluta relegazione. Il silenzio giunge così ad esercitare la primaria fonte di attrazione.

– Superando i limiti dell’inadeguato

Nella sua natura trascendente l’uomo, vivente sulla terra, manifesta la tensione portata dallo sforzo incessante di esprimere l’armonia che egli stesso vive. Si trova prigioniero dell’immagine, ma immerso pienamente nell’armonia della parola. Egli è capace di superare tutte le sensazioni prodotte dalla sua stessa mente, di assaporare tutte le presenze, di vedere oltre la caducità l’eterna forza rigenerante. Egli è ora pienamente consapevole del privilegio di conoscenza acquisita nell’ambito del suo vissuto esperienziale, tutto questo patrimonio di sensazioni è vissuto solo parzialmente. Cittadino adottivo di un mondo nuovo egli coglie barlumi di una realtà ben più ampia ed appagante. Proteso nello slancio di trattenere quanto più a lungo questo mondo impalpabile e vellutato egli scruta le parole fuoriuscite dalla sua penna e un magico turbamento coglie il suo respiro sospeso dall’emozione. È sufficiente una nuova rilettura per espandere in un altro spazio ancora più grande le parole impresse, testimoni veritiere, del senso del suo pensiero.

– Oltre

Il mistico pone il proprio ruolo nel superamento di se stesso. Insiste a portare la propria ragione in un campo in cui sfumano le prove e le certezze. Ma è proprio in ragione dell’incertezza che sente di vivere nella quotidianità che, egli riesce a mettere un punto fermo, determinato da fede e certezza incrollabili, in una dimensione che apparentemente non possiede alcunché di razionale e certo. Nella consapevolezza dei propri limiti egli vede la propria abissale insufficienza. Solo tentando di superare i suoi limiti egli sente la propria completezza.

– Il già ma non ancora

L’oltre, l’al di là, termini scontati che portano alla mente l’immagine di una dimensione lontana nel tempo, lontanissima nello spazio. Umana difficoltà è tentare di comprendere in realtà un modo di essere che è già qui, già adesso, ma non ancora nello spazio. Un tempo dilatato al cospetto dell’eternità così è raggiunta la pace nell’oblio dei sensi. Non ancora nello spazio, in un volo affaticato fra cieli indistinti, fra spazi indefiniti.

– Proporzioni

Dalla scia di un temporale quasi primaverile…

In ogni goccia che cade la linfa della vita, in ogni goccia caduta un brulicare perpetuo di vita intrisa di forme e di energie poco prima inespresse. Un senso di pace si impadronisce del cuore. Tutto continua a rivivere, tutto si trasforma, le curve riprendono a salire, l’antico dolore sembra quasi scomparso, come se non avesse più motivo di essere. Sai, lo hai capito dentro di te, che tutti i dolori passano, tutti i lamenti, tutte le pesantezze, un giorno scompariranno dall’alto della vetta raggiunta, non te ne ricorderai neppure più. Un giorno le considererai fondamentali, perché avrai capito che senza di loro non avresti potuto crescere ed ottenere tutto quello che hai ottenuto, la strada è tracciata, la traiettoria è stata scelta! La traiettoria è il compimento della tua missione. Sei in cammino, cerchi nella tua memoria di ricordare l’inizio, ma una nebbia avvolge i riferimenti. Un lungo cammino in cui sfuggono le proporzioni. È una tensione che oscilla verso l’eternità e non puoi quantificare al di fuori dello spazio. La piccola goccia continua a cadere, incessante, accompagnata da altre gocce, piccole come lei. L’universo di forme ed energie manifeste ed inespresse continua a perpetrarsi nel grande spazio di tutti i percorsi. Goccia dopo goccia, continua a scivolare, lungo i vetri trasparenti della finestra.

– Qualità di un Amore

“Sarò per te, piccolo fiore di prato, sereno, nel manto oscuro della notte, con te mi riposerò nel buio e nel silenzio più profondo, proteggerò il tuo sonno. Mi disperderò nella rugiada, all’alba, potrai sentirmi, lieve sui tuoi petali, confusi dal sapore della notte. Mi immergerò in una limpida goccia cristallina, poi scivolerò leggera sul tuo stelo, penetrerò la terra che abbraccia le radici e diventerò linfa che scorre nel tuo corpo. Volerò in un lieve alito di vento, scuoterò le foglie affaticate dalle ore del giorno. Emergerò per te, costante respiro, sarò la tua forza nel trascorrere dei giorni. Insieme al vento, alla pioggia ed alla notte, saprò di aver nutrito il tuo corpo. Attimo dopo attimo testimone del tuo percorso. Sarò dentro di te, sarò la sublime qualità di ciò che vivi. Mi effonderò nell’incommensurabile abisso dei tuoi pensieri. E nel silenzio emergerà la tua anima, conoscerò nuovi suoni e nuove definizioni. Un raggio luminoso solcherà, da spazi sconosciuti, i nuovi limiti del tuo sentire: la tua mente cattura l’universo, questo grande infinito sconosciuto, che ora, nel mistero di uno spazio indistinto, si racchiude dentro di te.

– La dimensione dell’anima

Non è in alcun modo definibile questa dimensione sconfinata. Dimensione che ha la prerogativa di comprendere la nostra vita nella quotidianità di ogni giorno: la vita terrena conosciuta e sconosciutissima da noi. Una vita che per essere degnamente vissuta sente la necessità di scoprire quei livelli sottili che così sovente sfuggono ai nostri maldestri tentativi di cattura. Nel desiderio irrefrenabile di possedere l’assoluto si ampliano le nostre ricerche percorrendo quella strada illuminata con grande insufficienza da una ragione che pone i propri cardini entro i limiti di tutto ciò che può essere ben dimostrato. È un sentiero percorso da pochi in cui emergerà quella verità oggi negata ai sensi, verità che solamente l’acutezza dello sguardo mistico e lirico può penetrare. Sguardo che mostrerà un’umanità cocreatrice con Dio in cui apparirà evidente che ogni termine corrisponde ad un nuovo principio di un’esistenza che non può esaurirsi nella nostra restrittiva comprensione del tempo. Finchè l’uomo veicolerà al meglio le sue capacità nel tentativo di carpire i segreti della creazione, a compimento della sua missione, il suo spazio sulla terra resterà sacro. E nel momento in cui l’anima definitivamente liberata dai ceppi della materia riuscirà a vedere dall’alto della vetta raggiunta questo piccolo pianeta vagabondo, ripenserà, forse, con qualche nostalgia al tempo vissuto da lei sulla terra, dove, sensibile agli impulsi divini nel conflitto e nella redenzione ha vissuto pienamente la sua giornata.

In uno slancio proteso verso la comprensione dell’inesprimibile delle cose si concretizza la vita e il pensiero del mistico. Egli è l’apparente negazione del vissuto quotidiano nella società di ogni tempo. Un’esistenza vissuta ai “bordi” delle cose per tentare di esprimere quel senso che va oltre l’osservazione superficiale del fatto comunque inteso. Egli vive, nel suo tempo e nel suo spazio, un’esistenza che assume i contorni e i sapori di tutti i tempi e di tutti gli spazi osservabili nella lunga storia dell’umanità.

Spiragli di vento e luce

Lo chiamavano il muretto dei gatti. L’aveva incontrato inerpicandosi per lo stretto sentiero che portava in cima alla collina. Era il muro di cinta di una vecchia villa disabitata. Per la verità considerando il materiale da costruzione presente nel giardino appoggiato disordinatamente qua e là si poteva presupporre una futura imminente ristrutturazione. Si fermò sul sentiero in salita e osservò oltre. Il muro di cinta aveva un’altezza che le permetteva di osservare il terreno retrostante, era formato da grosse pietre, dalla parte in ombra del sentierino, vi era una buona varietà di muschio.

Al suo arrivo alcuni gatti spaventati fuggirono. Ce n’erano di vari tipi e colori, si capiva che erano gatti randagi, abituati a vivere da soli. Lentamente compresero che lei non costituiva nessun pericolo e ritornarono con prudenza ad occupare il perimetro nord della casa. Riprese a salire lentamente. Gli alberi di olivo rivivevano a quel tiepido sole di febbraio, una fresca brezza scuoteva i docili rami riccamente ricoperti di foglie. Osservava i rami sterili e quelli che avrebbero portato frutto. Notò una curiosa differenza, il vento che scuoteva quei rami otteneva risposte differenti. I rami sterili protesi verso l’alto parevano muoversi ritmicamente, in modo meccanico. Quella stessa brezza che scuoteva i rami che avrebbero dato frutti di stagione ne riceveva una risposta diversa, quei rami infatti parevano danzare armoniosamente, assecondando serenamente le docili folate. Un tiepido sole filtrava quel sottile strato di nuvole. In lontananza il suo riflesso sul mare appariva diffuso ovunque. Riprese a salire. La cima della collina che si era prefissata di raggiungere si avvicinava rapidamente. Si ritrovò in una piccola fascia perfettamente curata e decise di sedersi. Da lì poteva osservare l’enorme distesa del mare. Poco più in basso spuntava il campanile di una piccola chiesa protetto da svettanti cipressi. Spostando lo sguardo alla sua destra poteva vedere due brevi tratti di autostrada separati da una collina. Si inoltrò per la vallata accompagnata dal suono delle automobili che rapidamente scorrevano per le arterie stradali. Il suo cane trotterellava felice accanto a lei. Il vento le portava il profumo leggermente acre dell’erica bianca, se ne trovavano in quella zona folti cespugli. Proseguì ancora oltre e andò a sedersi su una grossa pietra ai piedi di un pino. Le perveniva il riflesso indiretto del sole attraverso la chioma. La scia di un aereo tracciava una linea all’orizzonte. Si guardava attorno, osservava i fili d’erba del prato ondeggiare alla brezza e creare chiaroscuri vellutati che mutavano rapidamente sfumatura. Percepiva lo scorrimento della linfa vitale nei minuscoli filamenti. Vedeva poi il brillante riflesso del sole sugli aghi di pino e inspirava profondamente il penetrante aroma di resina che si diffondeva dal tronco. Il suo cane dava segni di stanchezza, così aveva preso a giocare con una pigna, disintegrandola velocemente. Osservò ancora la scia dell’aereo e vide che il vento la stava disperdendo, in pochi attimi sarebbe scomparsa definitivamente. La linea dell’orizzonte appariva ora nitida e definita.