Quando finalmente compresi la mia identità, capii anche che era ora per me, di abbandonare il mio luogo di nascita. E sì, tra breve, mi sarei staccato dalla mia pianta madre. Una profonda tristezza mi avvolgeva. Ah, ma la scoperta della mia identità è quanto di più sublime si possa immaginare. Mi sentivo in origine come se navigassi in un limbo confuso, allora era come se fossi cieco, avvolto da una dolce frescura, abbracciato da quelli che erano, e che sono tuttora i miei fratelli, me ne stavo lì, pigiato da tutte le parti, senza vedere oltre, senza potermi muovere. Mi sentivo, però, molto tranquillo. Sentivo la fresca acqua proveniente dal gambo, irrorare il mio corpo e quello dei miei fratelli. Di giorno, a fatica intravedevo la luce del sole, perché i mille petali gialli del mio fiore si stendevano per catturare i raggi del sole, che solo in seguito capii, essere vitali per me. Di notte l’atteso riposo, i petali si chiudevano, ma nonostante sembrasse a prima vista che tutto fosse tranquillo, dentro di me e attorno a me sentivo che c’erano in atto dei cambiamenti, delle trasformazioni. I giorni e le notti passavano e ahimè i petali che componevano il mio fiore diventavano brutti, in origine erano gialli come il sole. Col passar del tempo il giallo diventava marroncino, poi i petali non assorbivano più acqua e infine seccavano. Ricordo ancora con gratitudine quel giorno di vento forte. Una folata particolarmente violenta staccò i petali dal mio corpo. Erano ormai completamente disidratati e privi di vita. Balzai prepotentemente in primo piano. Un nuovo mondo viveva davanti a me. Vedevo un cielo limpido, distinguevo i contorni di un’alta montagna e le folte chiome dei pini. Ero nato nei pressi di un sentierino. Vedevo le api ronzare intorno, ma ormai non disturbavano più il mio fiore. Ma un’altra strabiliante scoperta mi colse impreparato. Sentivo un continuo fermento, finchè un giorno svegliandomi mi parve di essere catapultato in un altro mondo. I petali avevano ceduto il posto a dei sottili filamenti e all’estremità di ogni filamento minuscole braccia si stendevano e quasi andavano ad abbracciarsi le une con le altre. Parevano microscopici ombrellini con dei manici che al confronto erano veramente sproporzionati. Osservando questa esplosione di piccoli ombrelli dal mio posto di privilegio avevo l’impressione di vedere la trasparenza di una tovaglia di pizzo sapientemente lavorata. Ma non è tutto, quando la lieve brezza scuoteva questi esili filamenti, il sole penetrandovi dentro formava dei curiosi chiaroscuri quasi come un piccolo lembo di morbido velluto. Ma ecco allora i primi sospetti, sentivo il mio corpo pericolosamente scosso e cominciavo a nutrire il forte dubbio che prima o poi avrei dovuto abbandonare il mio fiore. E arrivò il triste momento. In effetti fu un vero terremoto. Arrivò di corsa un bimbetto di pochi anni in compagnia del suo cane, considerevolmente più alto di lui. Accanto a me s’arrestò.
– Mamma guarda questo fiore, che strano.-
– E’ un soffione, quelli che vedi sono tutti semi, come fiore è già appassito, ma se tu provi a soffiare forte vedrai i semi staccarsi e volare. –
Il bimbo curioso allungò la mano e strappò il mio gambo. Sentii una forte vibrazione proveniente dal gambo su fino a percorrere i lunghi filamenti, su fino a scuotere i piccoli ombrellini. Solo per un attimo tutto parve tornare alla tranquillità. Il bimbo incamerò più aria che poté nei suoi polmoni e con forza soffiò prepotentemente sul mio fiore. Inutile dire che quello fu per me un vero terremoto. Per me, ma naturalmente l’effetto subito fu uguale anche per i miei fratelli. Una parte di loro venne allontanata con poca difficoltà. Li vidi volare lontano e pensai che probabilmente non li avrei più rivisti. Era una giornata ventosa. Ma il bimbo dovette ripetere altre due volte l’operazione devastatrice prima di riuscire a staccarmi inesorabilmente dalla mia pianta. Non ebbi tempo per le tristezze. Vidi gli occhi lucidi del bimbo brillare per l’emozione. E soffiando ulteriormente nella nostra direzione cercava di farci volare ancora più in alto. Temetti fortemente di finire nella bocca del suo cane che per me era veramente gigantesca. Infatti non appena quel cane mostruoso si accorgeva che il suo piccolo padrone soffiava nella nostra direzione per farci volare più in alto, lui al contrario tentava di farci suo boccone. Fortunatamente non ebbe successo. Un potente soffio di vento allontanò inesorabilmente la nostra piccola nuvoletta. Già perché con me erano volati via molti altri semi. Ed ecco, questi sono forse, gli attimi più belli. Mi trovavo con altri semi, a volare lieve, quasi non avessi peso, vedevo il bimbo lontano che ci salutava agitando la mano e il suo gigantesco cane abbaiava nella nostra direzione, agitando festosamente la coda, poi con la lunga lingua penzoloni si allontanava, seguito dal suo piccolo padrone. Quali estatiche emozioni provai in quel volo contro il tempo. Via via il numero dei compagni di viaggio diminuiva. Alcuni cadevano a terra, altri cambiavano direzione, ma non oltre riuscivo a seguire il loro viaggio. Ad un certo punto mi trovai solo. Mi sentivo però libero, non avevo paura. Avevo l’impressione di essere leggerissimo e mi sentivo inoltre sostenuto dal mio piccolo ombrello. Mi sentivo sicuro perché avevo l’impressione di essere un paracadutista. Il mio viaggio ad un certo punto sembrò terminare. Mi ritrovai dolcemente adagiato su un ramo di pino, strano posto per un seme come me, ma che meraviglia, da qui potevo vedere un intero prato. Non ebbi il tempo di ambientarmi che venni letteralmente spinto via dal passaggio di una formica invadente, in realtà avevo intralciato la sua via. E mi ritrovai a volare. Il vento lieve era mio complice, sosteneva amorevolmente il mio viaggio. Mi sentii cadere nuovamente fino a toccare un mare azzurro, era un grande fiordaliso. Il suo colore era così intenso che mi sembrava quasi di sprofondare in un abisso marino. Fu una breve sosta. Sospinto verso l’alto da una folata di vento mi ritrovai a danzare al tempo di un magico valzer. E ricaddi dolcemente ai margini di un grande profumato fiore di campo solleticato dal turbinio creato dal folto polline. Quella che poteva sembrare una bella permanenza in realtà non lo fu affatto. Venni sospinto più volte dal movimento sgraziato e irruento di due api in febbrile attività sopra di esso. Stordito dal polline, dal profumo intenso e dal vociare insistente delle api, ad un certo punto mi ritrovai nuovamente a volare. E questo fu il viaggio più lungo. Una costante brezza soffiava ora da nord e io mi ritrovai a volare in alto, molto in alto. Un panorama indimenticabile! Ero molto in alto, ma non riuscivo più a distinguere il mio luogo d’origine. Distinguevo splendidi fiori dalle più svariate sfumature di colore. E iniziai a riflettere. Io, così piccolo, così microscopico come potevo rendermi conto di tutto ciò. Io, che rappresentavo forse la centesima parte di un solo fiore e mi ritrovavo ora a vedere dall’alto tanta bellezza, a cosa sarei servito? Bè non voglio che voi mi crediate così egoista da parlare sempre di me, perché mi rendo conto che come me, milioni e milioni di fratelli simili a me si chiedono forse le stesse cose. Ma io ho avuto una grande fortuna se paragonato a molti di loro. La natura mi ha dotato di ali e mi ha permesso di vedere una splendida armonia intorno a me. Distratto da queste mie considerazioni non mi sono accorto che il vento ha cessato di soffiare. Ed eccomi qui a planare verso quella che ho l’impressione sia la mia definitiva dimora. E non mi dispiace affatto. Anzi credo che mi troverò veramente in ottima compagnia. L’amichevole zefiro mi ha guidato nei pressi di un minuscolo corso d’acqua, attorno a me un piccolo prato di non-ti-scordar-di-me e una splendida pianta di tarassaco dai fiori incredibilmente colorati. Eccomi giunto a terra. Da qui posso osservare con un po’ di fatica il gigantesco tarassaco e gli esili fiorellini azzurri. La vista diretta del sole, ora, mi è impedita da insormontabili ostacoli. Grandi foglie mi oscurano e inizio a roteare come in una voragine e mi sento calamitato dal suolo. Una grande tristezza mi assale, ma il mio dolore è mitigato dal ricordo di tanta bellezza. Bellezza che non tutti i miei fratelli hanno potuto apprezzare. Sì, finalmente ho capito che per rinascere un giorno, ora il mio corpo dovrà morire. Affonderò nella terra il mio seme. E là, nel buio, la mia anima subirà delle trasformazioni. Dal mio piccolo corpo spunteranno delle lunghe braccia invocanti. L’umidità della terra faciliterà questo compito. Poi inizierò a crescere. I preziosi elementi donati dalla terra agevoleranno la mia crescita. Poi un giorno un piccolo germoglio spunterà dal morbido terreno. La luce del sole allora ritornerà ad accarezzarmi e mi donerà il colore del prato. Il giorno e la notte si alterneranno e io continuerò a crescere sempre di più. Si espanderanno le mie radici, si ingrandiranno le mie foglie e infine, finalmente, anche il mio fiore vedrà la luce del sole. Gli insetti del prato arriveranno ad onorarlo. Io allora sarò fiero di me, sarò fiero della bellezza che ho generato. Vivrò in tutta la mia pianta, conoscerò tutte le sensazioni del fiore e sarò piacevolmente stupito quando alla base dei gialli petali del mio fiore, un piccolo seme pigiato fra molti si sentirà navigare in un limbo confuso e comincerà a chiedersi, nonostante tutto, il perchè di tanta tranquillità.