Checco

Era stata una lentissima, inesprimibile agonia…

Un giovane gabbiano era rimasto vittima di un cacciatore.
Quel giorno, già alle prime luci dell’alba, nascosto da folti cespugli, immobile, il cacciatore scrutava il cielo.
Quello che si udì fu il primo ed unico sparo della giornata. Il pentimento del cacciatore fu improvviso perché non tardò a rendersi conto di aver colpito un’inutile preda. Un gabbiano stava cadendo rovinosamente a terra, le grida di dolore fecero rabbrividire il cacciatore.
Il cane ammaestrato partì alla ricerca. Poco lontano dalla postazione, in una vasta radura, giaceva il gabbiano. Era rimasto completamente privo dell’ala sinistra, solo un moncherino insanguinato spuntava appena, andando a tingere abbondantemente di rosso le piume del petto. Oramai era evidente che quel povero gabbiano non avrebbe mai più potuto volare. Il cane abbaiava e lui col becco spalancato lanciava grida strazianti. Il cacciatore restò colpito dalla visione di quel volatile ferito e richiamò il suo cane. Non aveva il coraggio di abbattere quel povero animale e proprio in quel preciso momento capì che avrebbe definitivamente abbandonato il suo fucile perché mai più sarebbe riuscito a premere il grilletto.
S’imponeva però una decisione, quel giovane gabbiano non poteva restare lì, sarebbe morto comunque di fame o sarebbe rimasto vittima dei predatori notturni.
Un’idea prendeva corpo nella mente del cacciatore, forse una scommessa con se stesso, e se fosse riuscito ad addomesticarlo?
Davanti alla sua casa di campagna un grande cortile recintato avrebbe potutocostituire un sicuro riparo. La condizione necessaria era una possibile convivenza col suo cane. Charlie infatti viveva in perfetta armonia con gli animali domestici, ma con un gabbiano le difficoltà avrebbero potuto essere insormontabili.
Il povero gabbiano contorceva con angoscia il moncherino dell’ala tentando contemporaneamente con l’ala destra di librarsi in volo. Gli sforzi compiuti provocavano indicibile dolore. Aveva però notato, il cacciatore, che da quello che restava dell’ala sinistra il sangue pareva coagularsi rapidamente. Sì, avrebbe tentato! Forse il gabbiano sarebbe sopravvissuto.
Nella sua fattoria un’enorme vasca d’acqua ospitava un vivaio di trote…forse…
Si avviò verso casa e subito si accorse che Charlie stentava a seguirlo, continuava a guardarsi indietro nella direzione del volatile, poi guardava il suo padrone. Charlie non capiva l’evolversi della situazione.
Il cacciatore e il cane lentamente lasciarono la radura. Le grida del volatile diminuivano d’intensità mano a mano che i due si allontanavano.
In breve arrivarono alla fattoria. L’uomo si avvicinò alla vasca delle trote, ne prese alcune col retino, le mise in un sacchetto e si indirizzò col suo cane alla volta della radura.
Charlie seguiva il suo padrone con un certo stupore. Quando giunsero alla radura il povero gabbiano giaceva a terra spossato. Non appena, però, si accorse dei due si rizzò sulle zampe malferme e cominciò a lanciare urla di dolore. L’uomo prese una piccola trota e tentò di avvicinarsi, ma il gabbiano impaurito si allontanò, allora il cacciatore lasciò cadere il pesce vicino al volatile e indietreggiò. Charlie che aveva capito essere una situazione anomala si era sdraiato discretamente al bordo della radura lasciando piena libertà d’azione al suo padrone.
Il gabbiano attratto dall’inconfondibile aroma del pesce e ricordandosi all’improvviso di essere affamato, dimenticò i forti dolori e s’avvicinò alla trota ingoiandola avidamente. Il cacciatore tirò un sospiro di sollievo, dentro di sé sapeva che il suo piccolo progetto sarebbe andato a buon fine. Prese un’altra trota lanciandola al gabbiano, ma questa volta la distanza tra loro era diminuita. Ancora una volta il gabbiano ingoiò la comoda preda. La paura iniziale pareva sensibilmente diminuire. Il cacciatore con un ampio stratagemma iniziò ad avviarsi verso casa preceduto da Charlie. Durante il cammino lasciava cadere una trota dopo l’altra. Il gabbiano aveva preso ad inseguirli. Passo passo, lentamente arrivarono a casa seguiti a distanza dal gabbiano.
Finalmente il volatile ferito era al sicuro entro il recinto della fattoria.
Charlie faticava a comprendere la dinamica degli avvenimenti, ma sapeva in cuor suo che avrebbe rispettato qualsiasi decisione del suo padrone.
I giorni passavano e il moncherino ferito si rimarginò perfettamente. Il dolore fisico provocato dallo sparo si attenuò notevolmente, ma un altro dolore, più opprimente si era impadronito di lui.
Charlie nutriva una sorta di timore reverenziale nei riguardi del gabbiano, anche se ora aveva capito che sarebbe diventato un ospite fisso della fattoria.
Sensazioni conflittuali opprimevano il cuore di Checco, questo era il nome dato al povero gabbiano. Un insopprimibile istinto di libertà dominava i suoi sensi. Era divenuto il beniamino della fattoria, guardato con rispetto dagli altri animali, quasi fosse un ospite illustre venuto in visita di cortesia.
Checco sapeva di essere al sicuro, sentiva attorno a sé un profondo rispetto, ma non riusciva a sentirsi uno di loro, faticava a prendere confidenza, costretto a vivere in un mondo non suo.
Fu quello un periodo strano per la fattoria.
Gli animali onorati da quell’insolita presenza si erano fatti più ricettivi partecipando all’agonia del gabbiano.
Quel dolore così opprimente, insopprimibile, pareva farsi scherno di lui. Il suo sguardo era costantemente rivolto al cielo. Il suo elemento gli era stato negato. Dentro di lui si era fatta strada la consapevolezza che avrebbe potuto riprendere a vivere solamente se fosse riuscito di nuovo a volare e allora decise che avrebbe perseverato nei suoi tentativi.
Come un’autentica anima in pena, il gabbiano prendeva la rincorsa percorrendo l’ampio cortile con tutto il fiato che aveva in corpo e contemporaneamente tentava di spiegare le ali. Tutti i suoi sforzi erano tesi a potenziare i movimenti del moncherino sinistro e subito dopo dell’ala destra, ma dopo aver percorso in estenuanti tentativi svariati metri, si vedeva costretto, spossato, a rinunciare.
Poteva alzarsi dal suolo solamente per pochi centimetri. Si guardava in giro, poi alzava gli occhi al cielo, non era accaduto nulla, lui era sempre lì, nel cortile della fattoria.
Incontrava a volte gli sguardi compassionevoli di Charlie e degli altri animali, si sentiva colpevole di questa loro tristezza perchè sapeva che partecipavano al suo dolore.
Fatto sta che il tempo passava e il gabbiano era sempre lì a tentare di spiegare l’ala e il piccolo moncherino.
Inesorabilmente ogni tentativo falliva sul nascere, alla fine si ritrovava spossato con gli occhi fissi al cielo e il cuore che batteva sempre più forte.
Non riusciva a trovare pace e nemmeno equilibrio. Il suo insopprimibile istinto di libertà non gli dava tregua.
Quest’agonia si protrasse per mesi. Le ore del giorno erano quasi interamente impiegate in questi vani tentativi.
Poi sopraggiunse il miracolo.
Il gabbiano aveva interamente esaurito le sue forze, aveva capito che mai più avrebbe potuto volare, per quanto il suo desiderio fosse grande, la realtà gli aveva impedito una vita normale.
Fu allora che subentrò la rassegnazione, se ne stava in disparte e osservava tutto quello che accadeva.
La sua postazione preferita era situata su un grosso ceppo di gelso presso il quale il cacciatore aveva appoggiato una piccola scaletta per permettere al gabbiano di potervi accedere.
Così, se ne stava lassù, di vedetta. Le sue piume in origine candide avevano assunto un colore grigio opaco.
Il ricordo dei tuffi in mare era sempre più doloroso, quelle sublimi sensazioni che provava quando il suo agile corpo penetrava la superficie marina parevano appartenere ormai ad un altro mondo.
Ricordava il tempo passato a cullarsi sulle onde del mare con gli occhi volti a scrutare il fondo marino.
La sola acqua che poteva assaporare adesso era quella elargita dal cielo. Nelle giornate, ahimè rare, di pioggia, rinnovava il ricordo del suo mare tendendo quanto più poteva l’ala e il moncherino tanto da immergersi nella pioggia che cadeva e protendeva il capo verso l’alto, spalancando il grosso becco.

Quel giorno ristorato dal ricordo del mare si beava alla vista di uno splendido arcobaleno. Guardava in alto, invidiava il volo dei gabbiani consolandosi però al richiamo dei loro gridi.

Era sceso dal vecchio ceppo del gelso deciso a sgranchirsi le zampe con una corsa per l’aia deserta. Ora se ne stava lì, spossato in mezzo all’aia, dopo averla percorsa infinite volte in lungo e in largo. Lo sguardo calamitato dallo splendido arcobaleno, il capo volto al cielo. Osservava estasiato lo stormo di gabbiani che sorvolavano la fattoria, da tanto tempo non ne vedeva così tanti. Pensava alla loro grande fortuna che forse neppure comprendevano.
All’improvviso gli balzarono alla mente tanti ricordi.

Ora riviveva i momenti in cui volava così in alto da confondersi nell’azzurro del cielo e nella luce del sole. Ricordava le note abbattute sulla roccia del mare e la dolce cantilena che sprigionavano per il sonno dei gabbiani. Ricordava le notti in cui dormiva sugli scogli e ripensava a quei momenti in cui le onde si abbattevano con tale vigore da svegliarlo. Rivedeva il riflesso talvolta accecante della luna e le sciabolate di luce che rifletteva sul mare.
Ora nelle notti di luna piena il riflesso argentato si specchiava sulla vasca delle trote e creava lunghe ombre nell’aia, lui se ne stava sul ceppo del gelso, come un lupo che ulula alla luna, adorava le luci del firmamento e poi stanco di fantasticare, colto dal sonno, volava nel mondo della notte.

– Checco, Checco, via di lì – la moglie del cacciatore urlava con tutto il fiato che aveva in corpo.
Charlie prese ad abbaiare disperatamente. Ma Checco non udì urlare il suo nome e non sentì il cane abbaiare.
– Fermati, ferma il trattore, c’è Checco – il cacciatore assordato dal motore del trattore non distinse i richiami pressanti. Era entrato in retromarcia nell’aia, deciso a portare il trattore al riparo sotto il fienile…

Finalmente Checco si sentiva rinato, delle possenti ali candide portavano in alto il suo corpo leggero. Quelle brutte piume grigie erano scomparse, il suo piumaggio era splendido. Lo stormo di gabbiani lo accolse con lunghi gridi. Checco si era risvegliato, aveva dormito un brutto sonno, ora si guardava intorno e gli sembrava di essere il gabbiano più bello. Guardò laggiù verso l’aia.
Charlie guaiva di dolore e la povera donna piangeva. Il cacciatore aveva colto il corpo inanimato e accarezzava con estrema dolcezza le piume grigie e il piccolo moncherino, poi guardava in alto verso quello stormo di gabbiani che sorvolavano la fattoria all’ombra di quell’insolito grandioso arcobaleno.
Con voce malferma rivolto alla moglie, disse – Guarda quanti gabbiani, sembra siano venuti a prendere Checco –

Checco volava felice, si sentiva leggero, trasparente. L’azzurro del cielo e la dorata trasparenza della luce del sole costituivano per lui un nuovo alimento. Ora guardava i gabbiani prendere varie direzioni, era rimasto solo a volteggiare sulla fattoria. Scrutò un’ultima volta l’aia e lanciando un forte grido di gioia si diresse con decisione verso il punto più alto dell’arcobaleno.

– Guarda come vola in alto quel gabbiano! Mi sono chiesto molte volte a cosa potesse pensare Checco quando stava tanto tempo a scrutare il cielo sopra il tronco del gelso – disse il cacciatore.
– Forse avrà sognato di volare verso un arcobaleno, povero Checco, forse avrà sperato fino all’ultimo che il suo sogno impossibile potesse realizzarsi! – rispose la moglie accarezzando con tenerezza Charlie che per tutta risposta all’improvviso prese ad abbaiare festosamente in direzione dell’arcobaleno