Sull’inadeguatezza delle parole

L’uomo per sua natura è trascendente, sconfina in quella dimensione in cui emerge la sfera del pensiero, egli non è perciò in grado di soddisfare tutte le sue esigenze perché queste non si sostanziano solamente in bisogni materiali.

Questa prerogativa è comune a tutti i livelli, a tutti i ceti sociali, davanti a tale necessità ricchi e poveri sono accomunati e tutti indistintamente nel corso della loro vita giungono a porsi le stesse domande. L’uomo per cercare di rispondere a tutte le domande, fondamentali per il suo equilibrio, sente le necessità di esprimere se stesso, di comprendere così il senso della sua vita.

Per fare questo deve trovare il filo conduttore che lo guida oltre la superficiale apparenza delle esperienze vissute nella quotidianità.

Solo ponendosi in una dimensione d’ascolto egli può giungere a percepire quelle sensazioni che appaiono necessariamente senza misura. Ed infatti smisurato è tutto quanto emerge dal silenzio interiore.

Un mosaico sottile prende corpo e le risposte iniziano a giungere. Tutto quanto è arte si sostanzia così nella percezione di una realtà ultraterrena: l’uomo non appartiene solo alla terra.

Ma proprio quando egli inizia a percorrere quel cammino di domande e risposte, all’improvviso sente la sua inadeguatezza. Percepisce chiaramente i suoi limiti. I suoi mezzi, il suo patrimonio culturale, non sono più sufficienti ad esprimere le sue nuove sensazioni. Le sue parole suonano pesanti, spigolose, certamente inadeguate ad esprimere l’oltre, il senza misura, l’impalpabile. Ed una tensione sottile s’impadronisce del suo essere. L’uomo vive un nuovo ritmo. Percepisce la materialità come strumento di crescita interiore. Si sente compagno di viaggio di altri passeggeri che percorrono il loro itinerario sui binari del tempo, in cui non è prevista la stazione finale d’arrivo.

Si sente allora povero d’esperienze e ricettivo a singolari impulsi. Ma quella tensione che fa sorgere domande nuove è divenuta il suo ritmo vitale.

Aperto ad una nuova conoscenza, sospeso fra differenti dimensioni, si domanda come far collimare la sua necessità del finito con la chiara percezione dell’infinito.

E nuovi limiti ancora più grandi emergono dalle sue risposte.

Il tempo scandito segna le tappe del suo sentiero e le parole povere e spigolose, orme indelebili del suo percorso, giacciono timorose sui fogli lasciando intravedere oltre lo spazio percorso, oltre il tempo vissuto, quella dimensione infinita, culla generosa di altri viaggiatori in cammino, rischiarati da un’antica luce in grado di adombrare tutte le tenebre terrene.