Albanotte e la Torre di Luce

Un giorno Albanotte decise di costruire una torre e disse fra sé: “Questa saggia decisione mi permetterà di contemplare il creato, vedrò tutto dall’alto, farò una torre così alta che nessun uomo ha mai immaginato da che mondo esiste. Sarà grande e stabile e andrò così in alto che un giorno arriverò a bussare alle porte di Dio! Il mio desiderio di incontrarlo è così grande che Lui apprezzerà i miei sforzi e mi aiuterà certamente a raggiungerlo. Sarà meraviglioso l’incontro, quante cose avrò da raccontargli…”

Con questa gioia nel cuore e la certezza nella sua mente di riuscire a portare a termine il suo progetto grandioso, iniziò l’opera.

Esistevano in quel tempo, sulla terra, dei mattoni quadrati, trasparenti, erano di vetro, ma resistentissimi. Nessuna cosa al mondo avrebbe potuto romperli e neppure solo scalfirli.

In effetti dalle cronache di quei tempi si dice che quei mattoni fossero resistenti come il diamante e che l’elemento principale fosse una particolare sabbia di mare…

Nessuno sa come Albanotte sia stato in grado di procurarsi un numero impressionante di quei mattoni, fatto sta, che un bel giorno iniziò la sua posa.

Decise di costruire la sua torre nel bel mezzo di una radura situata in un grande bosco di querce secolari, vi era anche un’incredibile varietà di grandi alberi a lui sconosciuti, ma che creavano un’armonia a dir poco fiabesca. Ed infatti il sottobosco era ricoperto di muschio e grosse radici spuntavano qua e là.

Trovò questa radura, il posto ideale, e così senza indugiare oltre, portò i mattoni per la costruzione iniziando a collocarli al perimetro della stessa. La forma era perfettamente circolare, così non fece nessuna fatica per decidere dove metterli, seguì semplicemente l’armoniosa disposizione degli alberi.

“Questo bosco è incantato, mi preoccuperò più tardi di visitarlo meglio, credo che il tempo non mi mancherà certamente”, pensava fra sé.

I giorni passavano e la sua costruzione prendeva lentamente corpo.

Si rese conto di riuscire a costruire la sua torre perfettamente circolare. I mattoni aderivano gli uni sugli altri senza bisogno di alcuna sostanza adesiva pur mantenendo la loro individualità, se avesse deciso infatti avrebbe potuto staccarli, ma solo per una sua precisa volontà, altrimenti, quei mattoni restavano lì, gli uni sugli altri perfettamente uniti e nessuno al mondo sarebbe stato in grado di separarli.

Si accorse, ma solo dopo aver iniziato la sua torre, che il diametro della stessa misurava esattamente undici metri, ne fu particolarmente colpito perché quel numero lo aveva sempre accompagnato durante la sua seppur breve vita, non si era mai chiesto il motivo di quella strana coincidenza, si era abituato a conviverci al punto che se quel numero non faceva risuonare la sua eco in qualche accadimento della sua vita, egli, Albanotte, ne sentiva sinceramente la mancanza. Era diventato, quel numero, quasi un compagno di viaggio. Che strana idea essere amico di un numero, le persone sono amiche di altre persone, fanno amicizia con gli animali, ma coi numeri… Eppure se ritrovava quel numero, Albanotte si sentiva tranquillo, sereno, si sentiva sulla strada giusta. Ragion per cui ad un certo punto della sua vita aveva deciso di farvi affidamento in maniera totale. Far affidamento sui numeri, che idea, di tutto s’è sentito a questo mondo, ma questa poi, il bello è che lui neanche più si chiedeva il perché di quella strana mania, quel numero era diventato il suo amico più fidato e nulla al mondo avrebbe potuto dissuaderlo, se compariva quel numero in qualsiasi situazione egli vivesse, tirava un profondo sospiro e senza indugiare oltre proseguiva, certo dentro di sé che tutto era ok…

Albanotte era intento alla costruzione della torre e neppure si accorgeva del tempo che passava, il sole cedeva il passo alla luna e lui sempre lì, la sua tenacia lo faceva proseguire inesorabilmente. Di notte una grande luna piena illuminava la radura e la luminosità dei mattoni di vetro lo aiutava a proseguire la sua costruzione.

Una sera si fermò a contemplare la base della sua torre, aveva posato tre righe di mattoni, si stupì in cuor suo della perfezione di quei mattoni disposti in un anello incredibilmente regolare. E pensare che normalmente la precisione non era proprio il suo forte, anzi. Normalmente la sua distrazione era proverbiale, infatti chi gli aveva attribuito quello strano nome aveva voluto mettere in risalto proprio la sua sbadataggine. Pensare, ora che una creatura simile fosse in grado di comporre un muro perfetto ha davvero dell’incredibile.

Socchiuse gli occhi quando i primi raggi di sole iniziarono a colpire la base della sua costruzione, il riflesso era per lui in quel momento quasi accecante. Fu colto da grande stupore quando al risveglio potè ammirare una esplosione di luce che lo lasciò a bocca aperta.

Un grande sole riluceva attorno a lui: era l’effetto prodotto dalle gocce cristalline di rugiada che nella notte si erano posate abbondantemente sul grande prato, il riflesso della torre faceva corona a quello splendore. Un effetto magico che lasciò Albanotte a bocca spalancata, lui era lì, in mezzo al grande prato e tutt’attorno la luce si diffondeva.

“Un meraviglioso presagio”, disse dentro di sé.

Alzò lo sguardo, le cime degli alberi brillavano anch’esse di perle cristalline.

Fu uno spettacolo meraviglioso quella mattina di fine inverno…

Poi in breve il caldo sole sciolse il fulgore di quello spettacolo e si diffuse una soffice nebbiolina ovattata.

Una magica armonia dava il benvenuto alla sua torre. Poi, com’era iniziato, al suo risveglio, quello spettacolo si dissolse col passar delle ore. Una meravigliosa giornata assolata accompagnava la costruzione del suo edificio. Rimase lì, assorto, ad assaporare il meraviglioso spettacolo prodotto da quel luogo.

Si scosse turbato all’udire una sonora risata tanto coinvolgente quanto sguaiata.

“Salto dentro, salto fuori, mi specchio, mi rispecchio, salto e risalto, mi specchio e mi rispecchio, oh, ma come sono bello, grazie natura che mi hai fatto così”.

Albanotte, guardava attorno incredulo, non vedeva nessuno! “La mia mente vacilla, forse il mio progetto è troppo ambizioso e la bellezza del posto mi sconvolge, sento parlare e non c’è nessuno, o forse è stata la mia immaginazione”.

“Oh rimbambito, l’unica bellezza che ti ha dato la natura è l’illusione del tuo cervello, neanche adesso che ti puoi specchiare vedi quanto sei brutto?”

“Zitta befana, chi ti credi di essere, vai in giro piena di pezze”.

Per tutta risposta una sonora risata.

“Caro signor grillo, io sono una farfalla variopinta perciò quelle che vedi tu non sono pezze, ma armonica miscela di colore”.

“Ih, ih, ih, armonica miscela di colore, mi ricordi una gallina spennacchiata.”

“Non farmi ridere, sei solo capace a saltellare qua intorno, io invece volo a distanze per te inenarrabili e l’ho visto il mondo, io”.

Albanotte colto dallo stupore sgranò gli occhi e dopo un’accurata ricerca trovò la fonte di quel battibecco.

Un grillo verde saltellava gioioso come non mai dentro e fuori del suo muro e una farfalla dalle sfumature bianche, panna, oro, nocciola, terra bruciata si era posata su un piccolo cespuglio d’erica e i due battibeccavano sonoramente.

“Attenta – disse il grillo alla farfalla – Albanotte si è accorto di noi, forse siamo in pericolo”.

“Ehi, come fate a conoscere il mio nome, e come fate a pensare che io sia un pericolo per voi, e, accidenti a voi, come fate a parlare?”

A questo punto risero tutti e due assieme.

“Non ti offendere Albanotte, non vogliamo prenderti in giro, siamo solo stupiti dei tuoi riflessi un po’…lenti, ecco forse sì, si può dire…lenti. Sai, succede raramente che persone come te caschino dalle nuvole e si accorgano di quello che succede”.

“Cosa vuol dire cascare dalle nuvole?”

“Cascare dalle nuvole vuol dire semplicemente svegliarsi”.

“Io sono sempre stato sveglio e attento”.

I due insetti scoppiarono a ridere.

“Ma se lo sanno tutti che sei stato chiamato Albanotte perché sei il signor controsenso” disse la farfalla.

Quei due impertinenti stavano demolendo la sua dignità. Povero Albanotte era sempre stato un insicuro, ora aveva preso coraggio con la folle idea della costruzione della torre e quei due piccoli, insulsi, insetti impuniti riuscivano a farlo sentire una nullità.

“No, no, no, non ti devi abbattere, non fare caso a noi, considera semplicemente che siamo molto contenti di aver potuto comunicare con te, dai su, facciamo pace, scusaci”.

Così dicendo la farfalla volò sulla spalla sinistra di Albanotte e il grillo saltellando si posò sul ginocchio piegato.

“Non trovi parole – disse la farfalla – chissà perché gli uomini ne hanno tante solo per comunicare tra loro, poi per parlare con noi, restano senza, dai sgrullati”.

“Va bè se non vuoi parlare continuo io, non ti stupire, non sei stato forse tu a voler costruire una torre per vedere il mondo dall’alto, eccetera, eccetera, eccetera”.

“Cosa c’entra la torre col fatto che voi parlate?”

“Che noi parliamo non c’è niente di strano, tutte le creature dell’universo comunicano che poi sia attraverso la parola o altro è solo un insulso dettaglio”.

“Insulso dettaglio?”.

“Certo un insulso dettaglio, dovrai farci l’abitudine perché sei solo all’inizio e, sinceramente, non per essere offensiva, ma, mi pare che batti un po’ la fiacca con la costruzione della torre…”

Più stupito che mai, Albanotte cercava di capire il rapporto fra la costruzione della torre e la sua sensibilità accresciuta.

“Tosto di cranio, ma è così semplice, ma non capisci che è la luce che si sprigiona dal tuo progetto che ti fa vedere le cose in profondità”.

“Che mi prendiate anche in giro è il colmo, la luce c’era anche ieri, eppure ieri non parlavate”.

“Eh no, noi parliamo sempre, anzi ci divertiamo un mondo, sei tu che non capivi, e non capisci neanche adesso”.

Albanotte sempre più confuso si sforzava di connettere in maniera ragionevole…

“Lascia perdere la ragione, qua la ragione c’entra poco, senti col cuore, senti col tuo desiderio, vuoi parlare con Dio, bè sei un pò distantino, ma puoi considerarlo come il primo scalino, il primo scalino della tua costruzione, a proposito non so se la cosa ti potrà consolare, ma se vuoi potrai considerarci come compagni di viaggio, nel senso che ormai abbiamo stabilito un contatto, quindi se avrai bisogno di noi basta che ci pensi e noi arriviamo di corsa, bè si fa per dire: volando e saltellando, ciao”.

“Rimbambito, sono nato rimbambito e continuo ad esserlo. A un certo punto decido di fare la torre per incontrare Dio e cosa succede, incontro due insetti impertinenti che mi prendono in giro e mi danno lezioni di metafisica. Mi dicono che loro sono al primo scalino, non voglio pensare come si staranno sbellicando dalle risate ai piani superiori… Sogno o son desto? Ahia…”.

“Stai calmo, non sono velenoso, volevo solo farti capire che sei sveglio e così ti ho scherzosamente pizzicato la mano”. Uno scorpione dall’aria poco rassicurante tentava di guadagnare una distanza di sicurezza dalla scarpa minacciosa di Albanotte.

Albanotte rabbrividì.

“E’ solo cattiva propaganda, noi non siamo velenosi, ci facciamo i fatti nostri, veniamo denigrati perché molti invidiano le nostre armi, guarda che belle pinze…”

“Ok, ok grazie, immagino che ora mi direte che qui sono al sicuro, che non esistono pericoli, che i pericoli sono solo nella mente degli uomini”.

“Vedo che cominci a capire – rispose lo scorpione – e penso che oggi avrai sufficiente materiale su cui meditare, ti vedo molto pensieroso, bene, anzi ottimo. Ottimo inizio, Albanotte, complimenti, io mi ritiro nella mia tana. E, grazie per non avermi calpestato, bè sapevo che non l’avresti fatto” e rapidamente giunse alla tana.

Faticava a riprendersi dallo stupore, povero Albanotte, le meraviglie di quella mattina erano così stupefacenti che per assimilarle avrebbe avuto bisogno di un bel po’ di tempo. Ed infatti fra stupore e ripensamento giunse l’ora del tramonto e si accorse di non aver aggiunto neppure un mattone in tutta la giornata. Dovette ammettere che l’avventura si presentava affascinante. Notò con curiosità che i raggi del tramonto persistevano insolitamente nei mattoni cristallini, in una danza di sfumature amaranto, ben oltre il calar del sole.

Quella notte il suo sonno fu parecchio agitato, stava vivendo un’esperienza surreale, stava cercando di allontanarsi dal suo mondo e invece proprio ora che cominciava a comunicare con creature che lui aveva sempre reputato molto lontane, adesso le sentiva così familiari, come fossero una parte di lui, anzi lui adesso si sentiva così piccolo in confronto a loro.

“Essere preso in giro da un grillo, una farfalla e uno scorpione, se mai lo racconterò a Dio si farà una risata universale…”

Povero Albanotte, era stato proiettato in un universo di cui non avrebbe mai potuto sospettare neppure l’esistenza. Se doveva prendere per buono quello che gli era accaduto doveva ammettere che in lui non c’era più spazio per i vecchi riferimenti.

Il ragionamento aveva ceduto il passo allo stupore, alla meraviglia. Aveva semplicemente la testa piena di stupore, piena di meraviglia. Sentiva una nuova pienezza nel suo cuore. La sua sintesi per quel giorno si era trasformata in gioia.

Ora il suo sonno sarebbe stato più tranquillo.

Il mattino seguente si alzò che il sole era già alto, i mattoni erano lì, in attesa di essere disposti…

Lavorò alacremente per tutta la giornata senza accorgersi che il sole stava tramontando, aveva perso decisamente la nozione del tempo, nel momento in cui giunse a contare sette strati di mattoni, si accorse che era stato così assorto dal suo lavoro da non sentire neppure le vive proteste del suo stomaco, decisamente vuoto.

“Salto qua, salto là, ma che bello questo muro, Albanotte, oh era ora che ti accorgessi di me, da tutto il giorno cerco di richiamare la tua attenzione, e tu niente, non vedevi altro che i tuoi mattoni, sai stavo per chiedere aiuto allo scorpione, perché ti pizzicasse”.

“Bravo, e per quale motivo avevi così bisogno di comunicare con me?”

“Pura banalità, volevo solo dirti che se non mangi non stai in piedi e se non stai in piedi non potrai finire la torre, e se non potrai finire la torre…”

“Che premura, e per quale motivo tanta preoccupazione?”

“Semplice, quando gli umani si svegliano non sono più padroni di se stessi, tocca a noi pensare alle loro necessità più elementari perché loro semplicemente se ne scordano”.

“Sono in balia delle cure di un grillo, dipendo dalle cure di un grillo…”

L’equilibrio del povero Albanotte era molto scosso. Cominciava a sentirsi sempre più fragile e quella sera decisamente stanco. Aveva raggiunto una discreta altezza e si chiese all’improvviso per quale motivo il suo amico grillo riuscisse a saltare di qua e di là.

“Non cercare di risponderti, non ci riusciresti mai e poi guarda attentamente, io se voglio oltre a saltare il muro lo posso anche attraversare, la stessa cosa puoi farla anche tu, naturalmente.”

“Bene, mi leggi nel pensiero e vai oltre le leggi della fisica, mi arrendo”.

“Ti ho detto che qui devi lasciar perdere la ragione”.

“Ok, mi arrendo, non spiegarmi altro”.

E Albanotte, dopo aver consumato la colazione che aveva preparato per la giornata, ormai giunto a sera tarda, allo spuntar delle stelle si addormentò, sempre più confuso fra lo stupore e la meraviglia che quell’avventura gli riservavano.

Aveva deciso che avrebbe accettato tutte le stranezze alle quali, razionalmente, non avrebbe comunque mai potuto rispondere.

Dormì pesantemente e, se fece dei sogni, al mattino li dimenticò completamente.

Una giornata meravigliosa e calda attendeva il risveglio di Albanotte.

Aprì gli occhi e osservò soddisfatto la sua torre che ora, stava decisamente mostrando la figura che avrebbe mantenuto fino alla fine…

Si alzò in piedi e si accorse che di lì a non molto avrebbe dovuto procurarsi una scala e avrebbe dovuto considerare l’idea di costruire una struttura di sostegno che gli permettesse di erigere la sua torre.

“Speriamo che quei piccoli rompiscatole mi lascino in pace oggi, devo fare un grande ponte di legno…”

“E chi sarebbero qui i rompiscatole?”

Albanotte deluso si guardò attorno, ma non trovò traccia dei suoi tre piccoli amici.

“Non sforzare la tua povera testolina potresti affaticarla, guarda più su, sì, proprio davanti a te, acqua, acqua, fuoco ci sei quasi, oh complimenti, mi hai trovato!”

A pochi metri di distanza, la testa di un gufo reale stava sbucando dal suo nido situato nel tronco di una vecchia quercia.

Uno sbadiglio dopo l’altro e gli occhi decisamente assonnati.

”Non fare quel muso da allocco, se permetti questo sarebbe il mio momento di riposare, quindi, qui, il rompiscatole sei tu”.

“Anche il gufo parla, bè certo tutti i gufi parlano naturalmente…”

“Naturalmente, bè una cosa giusta l’hai detta”.

“La mia affermazione voleva essere ironica”.

“E invece è solo un’affermazione corretta, tutti i gufi parlano, punto”.

“Certo caro gufo, non mi sognerei mai di contraddirti, e chi può pensare che i gufi non parlino?”

“E’ inutile che fai tanti il furbetto, tutti uguali gli uomini, sono gli ultimi arrivati e pretendono di capire tutto quello che li circonda e pensare che la quasi totalità di loro non sa neanche comunicare con le altre specie”.

“Cosa vuol dire gli ultimi arrivati?”

“Caro Albanotte, lo sai vero che quando sono arrivati i tuoi simili, le piante e gli animali esistevano già sulla terra?”

“Bé suppongo di sì”.

“Bè supponi bene e non è una supposizione è una certezza. Arrivate per ultimi, non sapete comunicare e pretendete di superare le vostre capacità, peraltro molto limitate”.

“Cosa vuol dire, io cerco di capire”.

“Certo, lo so, peccato che sia sempre per la via più difficile”.

“E tu caro gufo, naturalmente conosci tutti i segreti della creazione…”

“No, solo quello che mi compete”.

“E cosa ti competerebbe, se è lecito, nella fattispecie del momento?”

“Nella fattispecie del momento, farti capire, che devi prestare più attenzione a quello che hai attorno e non solo con i sensi esteriori, cerca di sentire, di respirare le informazioni che ti possono giungere dal bosco”.

“Maestro gufo che senso ha soffermarmi a capire quello che c’è qui dentro questo bosco, se voglio andare oltre”.

“Povero Albanotte se non avrai scoperto i segreti della base come potrai proiettarti verso l’altezza?”

Albanotte si sentiva imprigionato dal suo stesso progetto…ora un gufo brontolone lo stava mettendo decisamente in crisi. Avrebbe dovuto meditare molto a lungo prima di trovare un filo conduttore, e perché quelle piccole creature tentavano di scoraggiarlo?

“Nessuno ti vuole scoraggiare, devi solo arrivare a capire che tutte le creature fanno parte di te, quindi le devi accettare, medita su quello che ti ho detto, vedrai che mi ringrazierai. I piani superiori della tua torre potrebbero confonderti le idee”.

“Voi invece me le avete chiarite”.

“L’ironia qui non serve a niente, se non ti metti in armonia con i ‘rompiscatole del bosco’ come ci definisci tu, ti mancherà sempre qualcosa e non potrai mai capire quello che ti attende oltre. Medita Albanotte e se non ti dispiace cerca di fare poco rumore, io vorrei dormire”.

E così dicendo, con un atteggiamento che di certo non ammetteva repliche si ritirò nel suo nido deciso, senza indugio, a dormire.

Si era svegliato solo da poco tempo, ma già si sentiva spossato, sì, il gufo aveva ragione, avrebbe dovuto meditare a lungo prima di proseguire col suo progetto, perché troppi conti non tornavano. Si sedette al centro della torre e si guardò attorno, aveva raggiunto una buona altezza, i mattoni arrivavano al livello della sua testa, erano perfettamente trasparenti, da lì poteva scorgere il suo bosco, molto nitido. Per la verità era una torre molto strana, era indistruttibile eppure ad un’analisi sommaria praticamente invisibile, non aveva sostegni se non quelli della forza che teneva uniti i mattoni stessi in un tutto compatto e armonico. Per la prima volta si rese conto che la coerenza e la logica che avevano sempre sostenuto il suo pensiero ora parevano prive di basi e iniziò a farsi strada dentro di lui l’idea che se avesse veramente voluto incontrare Dio, che era naturalmente al di fuori e al di sopra di ogni sua limitazione, immaginazione, certezza, avrebbe dovuto essere pronto ad accettare qualsiasi disillusione. Come si stava facendo piccolo! Ora che cominciava a comunicare con le creature più vicine a lui si sentiva infinitamente più piccolo di loro, si sentiva impotente. Stava mettendo in discussione tutta la sua vita, tutti i suoi riferimenti, si sentiva inadeguato, quasi ridicolo. Si sentiva fuori posto. Ora che comunicava con le creature che lui aveva sempre ritenuto inferiori, adesso aveva paura di disturbare la loro vita, di invadere il loro territorio, quel territorio che Dio aveva messo loro a disposizione molto prima che giungesse l’uomo sulla terra. Per la prima volta si sentiva sospeso nel pensiero di Dio, stupito e meravigliato come non mai. Sentiva un’adorazione nei confronti di tutto ciò che lo circondava. Restò lì per quanto tempo non seppe mai, disperso nei suoi pensieri, a cercare di ritrovare il suo equilibrio, quell’equilibrio che ora era decisamente scosso, tanto che aveva la sensazione di essere posato su una zolla di terra fluttuante, vagante nell’immensità di un pensiero che sconfinava oltre tutti i riferimenti della sua vita terrena…

E riaprì gli occhi, e si ritrovò all’interno della sua torre, undici meravigliosi cavalli di una bellezza sovrumana stavano pascolando intorno a lui. Avevano gli occhi vivi e luminosi ed erano pervasi da un alone di luce.

“Felici di vederti, Albanotte”.

“Voi mi conoscete?”

“Come tu conosci noi, se ricordi, non molto tempo fa siamo stati liberati da una grande sofferenza e tu sei rimasto molto colpito da questo fatto…”

Albanotte ricordava, ricordava molto bene la sofferenza che lui stesso aveva sentito quando loro avevano subito e brillantemente, ora è il caso di dirlo, superato la prova.

“Molte persone quel giorno hanno sofferto con noi e questa loro sofferenza ci è stata di grande conforto, è stato l’unico aiuto che ci ha permesso di giungere qui…”

“Il contatto con la sofferenza”.

“Sì, Albanotte, questo è il dono che ti è stato dato per il contatto con la sofferenza delle creature”.

Silenziose lacrime di gioia rilucevano sul volto di Albanotte, ogni altro commento a questo punto era superfluo. Aveva stabilito un contatto luminoso proprio grazie alla sofferenza che aveva condiviso con quelle meravigliose creature, ormai ultraterrene. Per alcuni istanti si sentì indissolubilmente unito a quei meravigliosi cavalli che ora vivevano la più bella esperienza di pace ed armonia che potesse essere loro concessa…

Dopo un tempo che parve molto lungo e allo stesso modo infinitamente breve quella visione eterea ed estremamente reale scomparve lasciando Albanotte estaticamente sospeso.

Stava assaporando gli altri colori della vita, quei meravigliosi colori che si sprigionano dai sentimenti sublimati, dove non c’è spazio per il rancore, per la vendetta, per l’odio, ma dove tutto assumeva il sapore della redenzione e della gioia sconfinata. Dove il cuore viveva la sua estasi d’amore e la memoria alimentava una gioia senza fine.

Aveva l’impressione di intravedere il perfezionamento di alcuni mosaici e sentiva che la strada che aveva intrapreso per giungere a Dio stava mostrandosi, per lui, la più giusta. Questo era il sentire del suo cuore in quella giornata che aveva portato piene emozioni.

Stava ritrovando quel colore che è luce infinita, quella luce che viene dal dolore e che esorta a risorgere in una dimensione più pura.

Il sole stava tramontando e la meravigliosa danza dell’amaranto fluttuava come un’onda sinuosa fra i mattoni cristallini della sua torre. Forse l’ultimo grande dono per quella giornata o quel tempo che davvero gli era parso incalcolabile.

Fu un lungo sonno ristoratore, rivide i suoi cavalli pascolare in un’ampia rigogliosa vallata, una tiepida luce avvolgeva le sue emozioni e misteriosamente alimentava quella scena fantastica che lui stesso stava vivendo. Poi come per incanto quella visione celestiale trovò spazio dentro la sua mente andando a rannicchiarsi in se stessa in una piccola stanza dei suoi ricordi più belli.

Un’alba altrettanto infuocata del tramonto precedente incendiò il suo risveglio. Una viva danza di colore amaranto e oro rendeva davvero suggestivo il castello di Albanotte. Poi cessò all’improvviso e lui si sentì molto sereno, ma in una dimensione decisamente più terrena. Consapevole di aver fatto fantastiche esperienze, incominciò a chiedersi come proseguire nella costruzione della sua torre. Era arrivato a un punto che necessitava assolutamente di un sostegno per poter continuare e si mise a studiare come creare una struttura che lo potesse sostenere nella sua salita. Immaginò di fare un ponte di travi tutt’attorno al perimetro della torre per poter erigere i piani superiori.

Mentre componeva questo suo progetto si vide proiettato ad un’altezza considerevole. Attorno a lui azzurro e candide nuvole che parevano di panna montata, tanto erano compatte e solide, vide attorno a lui i contorni in trasparenza della sua torre. Guardò in basso e vide il suo bosco vivo e rigoglioso come non mai e vide la base della sua torre. Meravigliato oltre ogni dire non tentò neppure di dare una spiegazione a quello splendore che stava vivendo. Restò in attesa assaporando ogni immagine percepita dai suoi sensi. Gli pareva di essere sostenuto dal manto erboso della sua radura e un piacevole fresco zefiro scuoteva i suoi pensieri. Uno spiritello festante stava creando tutt’attorno con le nuvole di panna montata, immagini nuove.. con grande stupore le nuvole si erano trasformate in due vocaboli perfettamente leggibili, così era scritto: benvenuto Albanotte. Mai nella sua vita aveva neppure sperato di fare sogni così meravigliosi, ed ora stava vivendo una realtà che andava oltre le più rosee aspettative, perché di realtà era certo si trattasse. Non si chiese, come, perché e chi avesse scritto quelle parole. Stava entrando in altre dimensioni e pensò che questa nuova realtà dovesse mostrarsi a lui spontaneamente, naturalmente, semplicemente. Lui avrebbe dovuto solamente accettare e ringraziare Dio per la bellezza che gli aveva concesso di vivere. L’unica cosa che riuscì a pensare fu che la decisione di costruire la torre era certamente stata la più saggia che avrebbe mai potuto prendere. Si stupì solamente della proiezione verso l’alto improvvisa ed inaspettata, proprio nel momento in cui aveva deciso di continuare la sua costruzione.

“Ciò che è giusto faccia si manifesterà a me a poco a poco” e mentre formulava quel pensiero il suo capo si piegò in segno di adorazione e profondo ringraziamento.

Udì in quel momento il grido festante di un gabbiano, alzò lo sguardo e vide le sue penne candide, il becco giallo oro, era meraviglioso, imponente…

“Albanotte ti ricordi di me?”

“Checco! Sei tornato. L’ultima volta che ti ho visto volavi verso un meraviglioso arcobaleno…”

“Sì, ricordo tutto, la fattoria dall’alto, dopo la prova, la gioia e il dolore, e il tuo grande dolore Albanotte, quel dolore che ha alimentato il mio viaggio di luce, quel meraviglioso viaggio fra i colori della vita”.

Albanotte ricordava in maniera nitida il dolore di Checco! Quel gabbiano ferito privo di un’ala, che aveva incontrato in una fattoria, e che viveva rispettato nella sua dignità in compagnia di Charlie il pastore tedesco e degli altri animali del cortile… fino al momento della prova.

“Sono venuto qui per ringraziarti, Albanotte, perché tu hai sentito ogni mio dolore, il desiderio straziante di un volo impossibile, la fatica insopportabile delle corse per la fattoria nella vana speranza di potermi sollevare di qualche metro da terra, tu hai vissuto la mia redenzione e questo mi ha aiutato a non farmi sentire solo”.

“Non solo io ho sentito il tuo dolore, anche Charlie, il cacciatore e la moglie…”.

“Sì, ma tu l’hai manifestato come fossi stato io stesso a scrivere, non è da tutti compenetrare il dolore altrui e rifletterlo nel cuore di ogni uomo. Per questo solo ti volevo ringraziare, perché tu cerchi l’armonia con le creature e ringraziando te, ringrazio tutte le persone come te, che grazie al cielo sono tante, tante, tante… ma spesso non sanno di esserlo”.

“Di esserlo cosa?”

“In armonia con le creature, solo in armonia con le creature”.

“Grazie Checco, grazie al cielo e a te”.

Albanotte ricordava la storia meravigliosa e tristissima di Checco.

“Checco, puoi dirmi se le parole che vedo sono reali o frutto della mia immaginazione?”

“Albanotte, se ti riferisci alla scritta di benvenuto, sappi che è realissima ed è solo un dono di benvenuto, una specie di saluto da parte nostra”.

“Da parte nostra hai detto?”

“Sì, benvenuto fra noi Albanotte, benvenuto fra le creature. Sì, lo so ti senti inadeguato e sperduto. Bè, sappi che sei stato colto come un frutto, non troppo maturo, una specie di primizia. Di questo non hai merito, ma devi ringraziare il cielo per il dono”.

Di questo Albanotte non aveva certo dubbi, si sentiva inadeguato, estremamente inadeguato e piccolo, molto piccolo, ma se il cielo così aveva decretato, certo ci sarebbe stata pure una ragione.

“Addio, Albanotte, sappi che sei con tutti noi”.

“Addio dolcissimo Checco e grazie”.

E mentre Checco volava verso l’alto Albanotte rivide quel meraviglioso arcobaleno che solcava l’immensità del cielo. Il grido di gioia di Checco si disperse fra le nuvole che ora si erano fatte maggiormente fitte. Null’altro seppe fare se non prostrare il capo in segno di profondo ringraziamento.

Ormai non riusciva a concepire più lo scorrere del tempo.

Si ritrovò ancora una volta nella sua radura incantata. Ormai si rendeva conto che i suoi progetti venivano abbondantemente superati da fatti insperati ed imprevedibili.

Restò semplicemente in attesa di nuovi accadimenti.

“Sì, bisogna portare pazienza con Albanotte, è molto confuso, si è messo a costruire questa torre con cui è convinto di arrivare a scrutare tutti i segreti del cielo, ed è convinto di poterci arrivare fisicamente, ti rendi conto, un giorno o l’altro finirà a gambe all’aria”.

“No, non credo sta già cominciando a capire, ma sai ce ne vuole del tempo, le cose vere sono così palesi e il mondo dei terricoli è abituato a complicarle per poterle capire meglio. Che controsenso, già lui, poverino, è tutto un programma, ma come si fa a chiamarsi Albanotte, la quintessenza del controsenso, ma che vuol dire? Ma chissà da che parte dell’universo arrivano sti umani?”

La farfalla variopinta stava duettando con una meravigliosa farfalla azzurra.

“Disturbo, se vi chiedo perché vi state impicciando dei miei affari?”

“Oh si è svegliato! Scusaci non era nostra intenzione offenderti, ma sai è molto faticoso cercare di aiutarti”.

Albanotte osservava la farfalla azzurra e una domanda sorgeva dalla sua mente.

“Sono proprio io, caro Albanotte, ricordi la farfalla vanesia dell’acquitrino?”

Un meraviglioso stupore si dipinse negli occhi di Albanotte.

“Solo una farfalla stolta come me avrebbe potuto stringere amicizia con un serpentello e un ranocchio…”

“Dolcissima creatura, che gioia incontrarti”.

“La gioia è tutta mia Albanotte”.

“Lembo di cielo, non credere che il tuo sacrificio sia stato vano. Da quando te ne sei andata il serpentello ha cominciato a porsi molte domande. L’inganno lo ha quasi distrutto, per quanto riguarda il ranocchio, bè per lui c’è poco da sperare, ma il clima in quell’acquitrino è cambiato”.

“Bè il tradimento è stato provvidenziale, io ora non vivrei in questo mondo incantato, ma sarei ancora lì a sorvolare lande infestate di presenze pericolose”.

“Cara farfalla non so esattamente cosa mi stia succedendo, ma sto incontrando dopo tanto tempo meravigliose creature che credevo mai più avrei potuto rivedere, ed invece le sto incontrando nel più splendido paradiso che mai avrei potuto concepire”.

“Albanotte, amico mio, il mio tempo sta per terminare. Ora dovrò visitare un livello superiore, quello in cui le creature vengono istruite dalle grandi guide”.

“E chi sono le grandi guide?”

“Tempo al tempo, prima o poi le conoscerai anche tu. Addio e grazie”.

“Albannotte, non ti addolorare, ci siamo sempre noi” disse la farfalla variopinta.

“Avete finito, è ora di dormire, basta che arrivi un uomo e non si sta più tranquilli. Parole, parole, parole. State zitti tutti e pensate”.

Il gufo brontolone si era svegliato di cattivo umore, tanto per cambiare.

“Albanotte ti porge le sue scuse e i suoi ossequi”.

“Onorato! Zitto muso da allocco” sbuffò il gufo.

“Ok, stop” si arrese Albanotte.

Albanotte si fermò ad osservare la sua torre e pensò che il gufo era proprio la creatura più indisponente che avesse incontrato. Siccome capì al volo che il gufo aveva compreso esattamente il suo pensiero e stava per ribattere, si concentrò sul suo muro. Era rimasto indietro col suo progetto, oltre i sette livelli di mattoni non era più andato e qualcosa impediva la sua ascesa. Molti, troppi pensieri affollavano la mente e lui non riusciva a comporli esattamente come le tessere di un mosaico che trovano la loro naturale collocazione. Quello che gli accadeva era così straordinario che faticava a definirlo.

“Oh, finalmente il gufo si è svegliato e se ne andrà per altri lidi” era stato il grillo a parlare “sai di giorno brontola sempre, lui vuol dormire perché deve essere sveglio di notte e così noi dobbiamo starcene bravi perché i signori nottambuli devono riposare. Ok, Albanotte, volevo parlare con te, è da un po’ che non ci si vede vero? Senti, ma, non ti sembra strana l’idea della torre?”

“Affatto, voglio andare lassù e raccontare a Dio tutte le meraviglie che ho trovato, poi non ho bisogno certo dei tuoi consigli, inoltre voglio cercare di meditare perché proprio non ci capisco più niente”.

“Ok, come vuoi tu, ma ricordati che se avrai bisogno, potrai contare su di noi”.

Albanotte decise che quella giornata aveva portato insperate esperienze e quindi sarebbe stato più saggio cercare di dormire. Il sonno avrebbe portato forse buoni consigli.

“Adesso sei tu che mi stai disturbando” disse Albanotte.

Il gufo brontolone era giunto nella radura e si era posato su un ramo di quercia.

“Mi dispiace deluderti, Albanotte, ma in realtà stai dormendo e stai facendo un bellissimo sogno, visto che il protagonista principale sono io”.

“Sembra che la notte migliori il tuo carattere, credevo che l’autoironia non facesse parte di te”.

“Prova tu a essere disturbato continuamente quando dormi e poi dimmi se sei contento”.

“Ma scusa in un bosco così grande è mai possibile che ci siano così tanti disturbi? Perché non cambi albero?”

“Bravo, bella idea, sarebbe certo molto comodo per me, sarebbe facile trovare una zona silenziosa, ma se io sono stato affidato a te, come potrei poi comunicare?”

“Tu sei stato affidato a me?”

“E non solo io, anche le altre creature con cui sei entrato in contatto, stiamo tutti lavorando per te”.

“Questa poi. Essere in balia di uno stormo di animali. Io cerco di salire fino a Dio e cosa succede, entro in contatto con voi. Questo mi onora, non avrei mai pensato di poter vedere una simile armonia, ma mi sembra di essere imprigionato dentro me stesso, come faccio ad arrivare fino a Dio?”

“Bella domanda Albanotte, davvero bella domanda. Sai quando ci sarai arrivato te ne accorgerai da solo”.

“Come faccio ad accorgermene da solo, sì, me ne accorgerò quando la mia torre sarà così alta da toccare il cielo”.

“Ah povero Albanotte, proprio fai fatica a capire. Tutti così gli uomini, spesso vivono esperienze straordinarie e cosa succede, neanche se ne accorgono e continuano imperterriti coi loro progetti insulsi… Non ti preoccupare ci vorrà solo tempo, è sempre questione di tempo, sappilo. Ma prima o poi la tua mente si aprirà un po’ di più e arriverai a trovare la pace. Il tuo sogno sta per terminare, è ora che me ne vada, non ricorderai niente. Anche se non ti ho dato un grande consiglio è fondamentale che sia tu stesso a trovare la via giusta, che è quella giusta per te. Noi siamo solo impulsi che ti spingono alla ricerca, ma il lavoro devi farlo tu”.

“Il lavoro lo sto facendo io, non è forse mia l’idea della torre?”

“Francamente non mi sembra una grande idea, visto che focalizzi la tua attenzione solo sulla tua visuale. Attento, sta diventando un chiodo fisso. Ma non ti accorgi che stai incontrando amici che avevi lasciato da tempo e ora li stai ritrovando in una dimensione sublimata? Non ti sembra di essere entrato già in un’ottica universale? Ma perché deve essere così difficile da capire. Proprio non ti va di mollare i vecchi riferimenti”.

“E’ tutto così nuovo e meraviglioso per me. E’ tutto così inafferrabile, ma come posso trattenere i miei pensieri e renderli più corposi?”

“Non puoi trattenerli, fanno parte del mondo dei colori e delle emozioni e l’unico modo per trattenerli è scriverli!”

“Scriverli, da quanto tempo non scrivo… io voglio incontrare Dio, non scrivere!”

“Ci risiamo, muso da allocco e testa di piombo. Ci vorrà più tempo del previsto, pazienza. Sogni d’oro Albanotte, domattina cerca di non disturbarmi. Addio”.

Albanotte quel mattino si svegliò di pessimo umore, aveva l’impressione di essere passato sotto un treno. Era stanchissimo anche se aveva dormito sodo.

“Più si dorme, più ci si impigrisce” disse, ma subito ricordò il gufo scorbutico che avrebbe brontolato di lì a poco e così si zittì e cominciò a pensare.

“Chissà quante prede stanotte, lo credo, per dormire così a fondo deve avere la pancia piena. E sta russando per lo più, ci mancava anche questa”. Decise di uscire dalla sua torre e di inoltrarsi nel bosco per fare una passeggiata, aveva bisogno di cambiare aria e soprattutto pensieri, visto che al momento aveva l’impressione di essere leggermente fossilizzato nel suo progetto.

Quella passeggiata fu provvidenziale, il bosco era davvero incantevole. Il profumo della terra penetrava nelle sue narici e aveva l’impressione di radicare lui stesso, si sentiva parte integrante di quell’ambiente. Anche lì fece molti incontri, ma nessuno comunicava con lui; un pettirosso gli volò così vicino che quasi lo scontrò.

“Ehi, sei orbo, guarda che ti fai più male di me se mi vieni addosso, stai attento”.

Per tutta risposta silenzio. Il pettirosso andò a poggiarsi su una zolla di terra dove già alcuni merli stavano sfrattando molti lombrichi dalla loro casa, l’umidità della notte li aveva spinti ad affiorare dalla terra. Albanotte aveva l’impressione di essere trasparente.

“Perché nessuno mi considera?”

I merli e il pettirosso proseguirono il loro pasto a lombrichi e non diedero cenno d’intendere le sue parole.

“Forse nessuno ha voglia di socializzare qui?”

Niente, non lo degnarono di una risposta. Proseguì la sua passeggiata. Scoprì meravigliose radure qua e là, sparse per il grande bosco. Si sedette per riposare nei pressi di un sonoro ruscello. Verdi raganelle disturbate dal suo arrivo saltellarono lontano da lui. Il sole si specchiava in quella limpida acqua e accecava a tratti il suo sguardo.

Nuove parole affiorarono alla sua mente, si sentiva piacevolmente cullato da emozioni impalpabili e aveva un grande desiderio, comunicare il suo pensiero, semplicemente così come fluiva naturale dalla sua mente.

E allora si mise a parlare, parlare, parlare, ma nessuno dava cenno di intenderlo.

“Non mi sono forse state affidate le creature? Perché allora non mi vogliono più ascoltare?”

La vita in quella bellissima radura, si svolgeva regolarmente, coi suoi profumi, suoni, colori. Nessuno però considerava Albanotte, era come facesse parte di un altro universo. Api, libellule, farfalle, grilli, raganelle, formiche, tutti gli abitanti del prato che incontrava vivevano la loro giornata naturalmente, senza far cenno di comunicare con lui. E così se quella giornata era iniziata con un fastidioso mal di testa non terminò certamente meglio.

Sempre più confuso da accadimenti incalzanti e meravigliosi che non sapeva armonizzare gli uni gli altri, ritornò verso la sua radura, dove l’attendeva la sua torre, nella speranza di poter trovare un filo conduttore che unisse i suoi pensieri in un tutto logico e soddisfacente. Di ciò aveva estremo bisogno, una forte apprensione attanagliava il suo cuore. Aveva l’impressione di avanzare e retrocedere in continuazione e si sentiva mal sopportato dalle creature del luogo. La più grande consolazione era il ricordo indelebile e meraviglioso lasciato da quei vecchi amici che aveva incontrato. Ripensava ai cavalli, a Checco, alla farfalla azzurra, tutti erano stati molto felici di rivederlo.

Giunse alla sua radura che era ormai tramontato il sole, si sdraiò all’interno della sua torre di luce e subito si addormentò. Fu una notte quieta e rigenerante, la mattina seguente avrebbe portato una serena consapevolezza. Un senso d’attesa pervadeva la torre. Un insolito brusio accolse il suo risveglio.

Il gufo era sveglio e di buon umore e stava chiacchierando amabilmente col grillo, la farfalla e lo scorpione. Ma i quattro si zittirono non appena si accorsero che Albanotte si era svegliato.

“Buona giornata a te Albanotte” disse il gufo.

“Che succede stamattina, amici? Mi sembra di respirare un’aria diversa”.

“Sai eravamo preoccupati per te, ieri non ti abbiamo visto e non sapevamo cosa pensare”.

“Ho fatto una passeggiata nel bosco e ho meditato molto”.

“Un arcobaleno per i tuoi pensieri”.

“Cosa?”

“Vuol dire che se ci onorerai dei tuoi pensieri, noi ti faremo dono di uno splendido arcobaleno!”

“E in virtù di quale potere voi potreste produrre un arcobaleno?”

“Sai le forze dell’acqua e della luce sono sempre pronte a collaborare, se si tratta di una buona causa, naturalmente”.

“Naturalmente”.

“E allora il tuo progetto?”

“Quale progetto?”

“Oh cielo onnipotente! Ma la tua torre. Ci sembri leggermente ancorato”.

“Vi sembro bene. Lo sono. Ieri nel bosco non sono riuscito a parlare con nessuno, tutti quelli che incontravo sembrava mi evitassero”.

“Non ti evitavano affatto, eri tu che non li intendevi, non eri forse fuori dalla tua torre?”

“Certo che ero fuori dalla torre. Ho paura di essermi perso, sto confondendo il giorno con la notte, il sonno con la veglia, la realtà con la fantasia e non so più se devo continuare a costruire la torre o se è pura follia l’aver pensato di raggiungere Dio con una costruzione terrena”.

Il gufo e gli altri amici erano pensierosi, per la prima volta non sapevano come aiutarlo.

“Caro Albanotte se non riesci a trovare il filo conduttore dovremo ricorrere all’elfo del piano base”.

“Cosa? L’elfo del piano base?”

Uno splendido arcobaleno comparve all’improvviso sopra la torre di Albanotte e una creatura eterea, una creatura di sogno come mai aveva visto, discese sinuosamente dall’arcobaleno.

Aveva lunghe ali slanciate, si poteva definire l’idea stessa dell’eleganza fatta creatura. Il suo colore era bianco latte con sfumature azzurro e oro, il sorriso dolcissimo.

Albanotte ebbe l’impressione di essere abbracciato da quella immagine, come se avesse visto un amico, dopo tanto tempo. Quella sottile figura si avvicinò ad Albanotte il quale percepì un vago tepore, per la frazione di un attimo ebbe l’impressione di ritrovarsi nel caldo tepore della sua culla…

“Ciao Albanotte, il mio nome è Silen, ti ricordi di me?”

“Ecco dove ti ho incontrato per la prima volta, è stato quando ero nella culla, infatti la tua energia mi ha ricordato quello che ho provato nella culla”.

“Sì, Albanotte, sono uno degli amici che ti hanno dato il benvenuto quando sei nato e sei giunto a far parte di questo mondo, naturalmente poi te ne sei dimenticato…”

“Che gioia ritrovarti Silen, ma come ci si può dimenticare di creature come voi?”

“Tutto come da copione, non ti preoccupare, di notte nei sogni molte volte ci siamo incontrati, ma poi di giorno il ricordo svanisce. I tuoi amici mi hanno chiamato perché sono preoccupati per te. Sei leggermente ancorato al tuo progetto vero?”

“Mi sembra a volte di affondare in una palude, nel senso che non riesco a sistemare le tessere dei fatti che mi accadono. Mi stanno accadendo cose meravigliose, ma non riesco a gestirle. Non so più dove mi trovo, mi sembra tutto così surreale…”

“Caro Albanotte, devi sapere che io sono l’elfo del piano base, è possibile incontrarmi solo quando è stato sufficientemente analizzato il piano base o terrestre”.

“Silen, non credo di aver analizzato a sufficienza il piano base come dici tu, infatti le mie idee ti assicuro che sono confuse, anzi non sono mai state così confuse in vita mia”.

“Proprio per questo hai analizzato a sufficienza, hai iniziato a dubitare di tutto e questo è il punto di partenza. Solo quando la tua mente ti porta a dubitare di ogni possibile riferimento, allora sei pronto ad andare oltre, capisci?”

“Forse comincio a capire, Silen, ma non credi che si rischi di uscire pazzi da questo stato?”

“Non è possibile, io sorveglio tutti i pensieri di ricerca superiore, sono stato scelto da Dio per fare questo, quindi la pazzia come dici tu non è una possibilità contemplata”.

“Eppure la pazzia esiste, Silen”.

“Sì esiste, ma non è un incidente di percorso”.

Albanotte non osava ribattere, non aveva mai neppure sospettato di essere protetto a tal punto…

“Quale aiuto puoi darmi, Silen? Ti sembra saggia l’idea della torre?”

“Da quando hai scelto questa possibilità che cosa ti è accaduto?”

“Mi è accaduto di tutto, sono entrato in contatto con le creature del bosco, ho ritrovato degli amici che avevo incontrato in un’altra dimensione e poi ho incontrato te, Silen”.

“Se questa scelta ti ha aperto una via luminosa allora mi sembra una scelta saggia. Vedi quando si lascia il piano base è naturale essere molto confusi, perché gli altri piani hanno caratteristiche molto differenti”.

“Ma io continuo a far parte del piano base, come lo chiamate voi”.

“Proprio da questo dipende la tua confusione, ti trovi a dover fare i conti con parametri diversi e allora quello che ti sembrava l’idea più giusta per te, cioè il progetto della torre, ti sta creando dei problemi. Il progetto è giusto, ma non potrai realizzarlo facendo affidamento su dei mattoni di vetro. Potrai arrivare in alto solo se sublimerai la tua torre”.

“Vuoi dire Silen, che dovrò idealizzare questa costruzione?”

“Vedi Albanotte non è necessario lasciare fisicamente il piano base per interagire coi livelli superiori, perderesti un’ottima occasione, perché se lasciassi fisicamente il piano base, non potresti più ritornarvi. Se il tuo scopo è quello di trovare Dio, il tuo conseguente desiderio sarebbe di manifestare alle altre creature i risultati delle tue ricerche, non credi?”

“E’ vero Silen, vuoi dire che dovrò convivere con l’incertezza?”

“I tuoi pensieri saranno più chiari adesso che hai comunicato con me. Io ti ho aperto l’accesso ad altri livelli”.

Albanotte provava una gioiosa serenità, si sentiva fiducioso, ora intuiva che sarebbe riuscito a convivere coi suoi dubbi e le sue incertezze.

Osservò quello splendido elfo fluttuare qua e là mentre parlava.

“Sai devo dirti che hai costruito un’ottima base. Ma dimmi, quegli amici di cui mi parlavi, che avevi incontrato in altre dimensioni, raccontami di questo incontro”.

“Devo ammettere che è stato un incontro fantastico. E’ rimasto un ricordo chiaro perché ho scritto dei racconti…”

“E questi racconti si sono materializzati, non è vero?”

“Si sono materializzati, ma sono frutto della mia mente”.

“Non pensi che questi racconti siano stati materializzati e siano diventati una creazione reale e indipendente?”

Albanotte era stupito dalle parole di Silen.

“Addio Albanotte, ora sei pronto per procedere da solo. Hai molti elementi con te, più di quelli che ti possono servire”.

“Addio Silen, temo che non ti rivedrò molto presto”.

“E chi può dirlo, non racchiuderti mai nelle certezze”.

Il gufo e gli altri amici osservarono attentamente la fantastica scena, da molto tempo non incontravano l’elfo del piano base ed ogni volta restavano calamitati dalla sua bellezza.

“Albanotte”.

“Che meravigliosa creatura, cari amici. Ho ricevuto tali informazioni che immagino sarà necessario molto tempo per poterle assimilare”.

“Ricordati che il tempo lo decidi solo tu”.

“Già, come tutto il resto a quanto pare”.

“Sento profumo di saggezza” disse il gufo.

Il giorno di Silen, così lo avrebbe in seguito sempre ricordato Albanotte, giungeva al tramonto.

Il tempo si espandeva e si contraeva magicamente, ma i momenti più belli erano il tramonto e la notte. Il tramonto portava colori insperati e la notte una dolce nostalgia, perché era il momento del magico incontro con le creature sovrumane. E allora una dolcezza nuova cullava il suo cuore inquieto e i suoi pensieri inesorabilmente vagabondi.

Quella notte fece un sogno meraviglioso: vagava, privo di peso, in un oceano sconfinato di luce bianca, si sentiva protetto, come fosse dentro una bolla trasparente di sapone; un pittore immaginario spargeva tracce eteree di azzurro e oro. Quei colori soffusi erano l’essenza stessa del suo viaggio in quello spazio sconfinato, li sentiva dentro e fuori di sé, erano il suo elemento e alimento inestinguibile. La pace si era impadronita della sua mente, vagava semplicemente in quella beatitudine sconfinata e non si poneva più domande. A poco a poco, quella visione si dissolse e lui si accorse di aver contemplato e vissuto come alimento essenziale i colori di Silen, l’elfo del piano base.

Il mattino si svegliò sereno e in pace con se stesso, per la prima volta, dopo tanti giorni. Si guardò attorno, la radura era ricoperta da una nebbiolina ovattata, il sole nascosto da grosse nubi tratteneva i suoi raggi oltre la corte. Decise di fare una passeggiata nel bosco. Quella mattina era insolitamente silenziosa e pensò che le creature del bosco preferissero rimanere nei loro nidi e nelle loro tane, probabilmente di lì a poco avrebbe cominciato a piovere.

“Accade sempre così quando il bosco è onorato dalla presenza di Silen, il giorno dopo il bosco rimane in riposo. E’ l’effetto magico della sua energia, lascia in tutti noi un senso di sospensione, ci sentiamo cullati dalla sua presenza anche parecchio tempo dopo che lui se n’è andato via. Non hai anche tu la nostra impressione?” un meraviglioso pettirosso osservava incuriosito Albanotte.

“Ma tu sei quel pettirosso che mi ha quasi scontrato l’altro giorno mentre passeggiavo e non si è neanche preoccupato di farmi un cenno d’intesa?”

“Presente, proprio io, Albanotte ma mi dispiace deluderti. Eri così concentrato nei tuoi pensieri che non hai percepito niente. Avevi pensieri troppo pesanti. Solleva i tuoi passi, bè ora li hai sollevati altrimenti non mi avresti capito. Scusa ormai hai ricevuto il dono, dimenticavo. Con il dono di Silen potrai comunicare liberamente con tutte le creature, a patto che tu non materializzi troppo i tuoi pensieri, naturalmente. Ti saluto e ti auguro buona passeggiata”.

Quella soffice nebbiolina non infastidiva Albanotte, anzi si sentiva maggiormente ricettivo. Una sottile pioggia iniziò a cadere. Per la prima volta assaporava la melodia delle gocce.

Sentì la danza su sè stesso, sulla testa, sulle spalle, sui suoi vestiti, su tutto il suo corpo. Si sedette su un masso ricoperto di muschio e sentì le gocce cadere, una dopo l’altra, lievi, scivolavano sul suo viso, sul collo, sul torace, in breve tutto il suo corpo era intriso di pioggia. Rimase lì, a sentire la carezza del cielo nuvoloso. Era parte del bosco, del masso, del muschio, della terra, si sentiva rinascere fra le creature terrene e percepiva tutte le loro emozioni; sentiva il sospiro del muschio intriso di linfa vitale, l’inspiro profondo della terra che accoglieva ogni goccia come nettare prezioso. Sentiva il respiro regolare e consapevole dei massi di pietra, dei tronchi degli alberi. Un armonioso sollievo avvolgeva tutta la vallata in una presenza consapevole. Tutto il bosco sapeva di esistere e di svolgere un ruolo fondamentale. Era il supporto essenziale per le ricerche di Albanotte, senza quelle meravigliose creature non ci sarebbero state risposte e lui avrebbe vagato senza meta.

“Le risposte delle creature non possono che riflettere la presenza del creatore”. Pensò fra sé.

Percepì un nuovo senso di appartenenza, di unione indissolubile con tutto quello che lo circondava e per la prima volta si accorse di essere lontano dalla sua torre; la sua radura, pensò, doveva essere parecchio distante. Si alzò, grondante d’acqua e si diresse verso la radura, vi giunse al calar della notte proprio mentre il cielo si scopriva dalle nubi foriere di pioggia e mostrava uno splendido firmamento. Una meravigliosa luna piena illuminava la radura, facendola risplendere di luce riflessa. Era la magica presenza delle gocce di pioggia che riflettevano le luci delle stelle. Quelle luci iniziarono rapidamente a danzare alla presenza di uno zefiro complice e sonoro.

Una luce lattea ammantava la radura, riflessi azzurri e dorati dipingevano i mattoni del suo muro; apparivano ora una cinta invalicabile di colore tenue e compatto. A poco a poco l’aria ritornò limpida tutt’attorno a lui. Distingueva perfettamente i colori della sua torre, dalla cristallina trasparenza ora apparivano sfumati d’azzurro, oro e bianco.

Lentamente quei tenui colori iniziarono a dissolversi e con loro si dissolsero i mattoni della torre.

Si ritrovò solo, al centro della radura, osservava il perimetro perfettamente circolare dove aveva costruito la sua torre che ora era sfumata in una danza di colore evanescente. Restò per sempre nel suo cuore il ricordo di una meravigliosa immagine: i colori di Silen avevano sublimato la sua torre