In attesa

Si ritrovava seduta in una panchina di buon mattino. In attesa. Il sole ad est lentamente si alzava nel cielo e andava a penetrare coi suoi raggi lucenti sottili spiragli di una grigia coltre di nuvole che contrastava nettamente con la sua visuale ad ovest dove un cielo azzurro dipinto da alti cirri sembrava volersi beffare di quei nuvoloni minacciosi. Una fresca brezza autunnale scivolava insistentemente fra i suoi corti capelli. Le colline che facevano corona alle sue spalle sonnecchiavano ancora sotto la grigia coltre. Solo a tratti le cime si stagliavano nel cielo limpido e gli alberi che ne costituivano il perimetro ricordavano una testa scompigliata al risveglio del mattino: ordinatamente spettinata. Aveva osservato un lento sofferto risveglio di un comune mattino. Era confusa, in attesa di riprendere il filo. Pensava al tempo, quel lento incedere di fatti e avvenimenti. Quella lentezza esasperante che solo a volte, all’improvviso, riusciva ad aumentare il ritmo in maniera ossessiva. Il giorno e la notte, l’alternarsi di luna e sole avrebbero dovuto aiutarla a ritrovare un equilibrio. Il filo: quel filo conduttore che dava uno scopo alla sua vita, quel filo indispensabile che intrecciava la trama del suo tempo. La sua vita ora le appariva un enorme quadro composto da tessere che improvvisamente avessero perso il collante. Giacevano ai piedi della parete dove era posto il quadro in una grande confusione. Era necessario ricomporre il mosaico altrimenti quel quadro appeso alla parete non aveva più ragione di essere. Il tempo le sfuggiva di mano. Un attimo, un anno, l’eternità. Che cosa cambiava? Faceva forse tutto parte dello stesso mosaico? E se tutto componeva lo stesso mosaico, perché lei non riusciva a ricomporre il suo? Era come se un ciclone avesse scombinato le sue abitudini. Si sentiva fuori tempo e fuori luogo. Pensò che il tempo e lo spazio non l’avrebbero aiutata a ricomporre il suo mosaico. Si sentiva fuori dal mondo. Ma capì all’improvviso che forse non era poi così importante ricomporre il mosaico, poteva contemplarlo, anche così, anche se apparentemente non aveva nessun nesso logico lei sapeva riconoscerne tutte le più piccole tessere. Avrebbe potuto bastarle, tutto sommato avrebbe imparato a vivere anche in questa dimensione d’attesa. Si rese conto che allontanandosi dalle cose materiali riusciva a vederle con più chiarezza. Finalmente era serena perché questa dimensione d’attesa le dava un riscontro. Si era resa conto che la trama di quel tessuto strappato era tenuta insieme da un unico filo che aveva un incredibile resistenza. Era un filo magico che poteva cambiare repentinamente la sua consistenza. Talvolta appariva come un cordone, a volte così sottile da risultare quasi trasparente, come il filo di una canna da pesca. Ma aveva il dono di essere indistruttibile. Tirò un sospiro di sollievo. Contrariamente ad ogni logica, in questa dimensione, aveva trovato una grande serenità. La vita era anche questo: restare in attesa.